2 ottobre: assemblea cittadina per il ritiro delle missioni militari

BASTA GUERRE E FRONTIERE
SOLIDARIETÀ ALLA POPOLAZIONE AFGHANA
PER IL RITIRO DELLE MISSIONI MILITARI!

Nell’ottobre 2001 iniziava l’invasione dell’Afghanistan. Anche l’Italia, nel quadro della NATO, ha partecipato all’occupazione militare del paese che negli ultimi 20 anni ha mantenuto la popolazione in condizioni di miseria, oppressione, guerra, violenza patriarcale. Ora la restaurazione del regime talebano avviene anche per gli accordi fatti dagli USA, con la complicità dell’Italia. La vicenda afghana mostra a cosa portino le missioni militari, e mostra tragicamente l’urgenza di prendere l’iniziativa per il ritiro immediato delle missioni ancora in corso, per garantire la libertà di movimento ai profughi, per rilanciare l’impegno di solidarietà concreta tra i soggetti sfruttati e oppressi in tutto il mondo. In particolare in sostegno alle donne e a tutt* coloro che in questi giorni in Afghanistan stanno levando la propria voce per la libertà.

PER IL RITIRO DELLE MISSIONI MILITARI!
Le missioni militari italiane all’estero sono 40, di cui ben 18 in Africa. Tra 2020 e 2021, in piena pandemia, il governo ha avviato 4 nuove missioni. Nel Golfo di Guinea, nel Sahel, in Somalia, nello Stretto di Hormuz. Tra le motivazioni ufficiali di queste missioni: “proteggere gli asset estrattivi di ENI”. Dal 2018 è presente un contingente militare italiano in Libia che tutela gli impianti dell’ENI, che non ha lasciato il paese neanche durante la guerra civile.La strategia militare italiana è sempre più aggressiva e predatoria, apertamente imperialista e neocoloniale.
Mentre cresce lo scontro tra l’imperialismo di USA, Cina e Russia, si torna a parlare proprio per le missioni coloniali in Africa di un esercito europeo. Le ragioni che muovono le missioni di guerra sono sempre le stesse: controllo delle risorse; spartizione delle aree di influenza politica ed economica e repressione delle istanze sociali e di classe; controllo delle zone considerate centrali per i movimenti migratori; pubblicità per armamenti, mezzi ed equipaggiamenti militari. Anche per sostenere queste guerre la spesa militare dello Stato italiano è in costante aumento.
Nel 2020, mentre di fronte alla pandemia collassava il servizio sanitario lo Stato italiano aveva deciso di aumentare a 24,97 miliardi la spesa militare per il 2021. Un aumento dell’8,1 % rispetto all’anno precedente, a cui corrisponde una riduzione della spesa sociale, in particolare sanità e scuola.
Abbiamo costituito un coordinamento formato da forze politiche, sindacali, realtà associative e singol*, unite per lanciare una campagna per fermare il crescente intervento militare dello stato italiano all’estero, convinte che solo l’opposizione dal basso possa contrapporsi efficacemente a questa politica.
Invitiamo tutte le persone e le realtà interessate a partecipare a una prima occasione pubblica di confronto per lanciare la campagna:

Assemblea Cittadina
Sabato 2 ottobre ore 16
Piazza Garibaldi
(in caso di pioggia si terrà in sotto il loggiato di Piazza della Pescheria in Venezia)

“Basta missioni militari!”
Coordinamento cittadino per il ritiro immediato delle missioni militari italiane all’estero

Sofferenza…

6 Palestinian prisoners escape from high-security Israeli prison - Axios


“Se la sofferenza non ti ha reso un essere umano migliore, vuol dire che l’hai sprecata”…
Questo bisognerebbe dirlo tutti i giorni agli israeliani, occupanti dei territori palestinesi, questo bisognerebbe gridarlo ogni giorno a coloro che infliggono sofferenze disumane ai prigionieri politici rinchiusi nelle carceri di massima sicurezza nel deserto: 4650, di cui 520 detenuti amministrativi (quelli che non sono passati attraverso un processo), 200 bambini, 40 donne, 544 condannati alla pena di morte, 499 condannati a più di 29 anni di reclusione. Per quanto riguarda i bambini, da un rapporto di Save the Children, la maggior parte di questi bambini e ragazzi vengono portati via dalle loro case di notte, bendati, con le mani dolorosamente legate dietro la schiena. Molti di questi minori non sanno nemmeno il perché di questo arresto e dove verranno portati, tantomeno le loro famiglie. Questi minori sono gli unici al mondo che vengono sistematicamente perseguiti attraverso un sistema giudiziario militare invece che civile. L’accusa più comune è il lancio di pietre, per il quale la pena massima è di 20 anni.
Il 6 settembre nelle prime ore del mattino sei prigionieri palestinesi sono riusciti a fuggire dal carcere di massima sicurezza di Gilboa, attraverso un tunnel sotterraneo. Da subito i servizi carcerari israeliani, con lo Shin Bet, hanno trasferito per rappresaglia, oltre 350 prigionieri politici nelle carceri situate nel deserto e, tra loro, i leader politici sono stati interrogati attraverso i sistemi israeliani, trascinati nel reparto di interrogatori di Kishon, dove vengono utilizzate torture fisiche, torture psicologiche, posizioni dolorose nonostante l’assoluto divieto di tortura imposto dalle leggi internazionali… ma si sa, ad Israele tutto è permesso. Le misure su vasta scala adottate dallo Shin Bet e dalle forze carcerarie israeliane per volere dell’autorità giudiziaria israeliana, riguardo al trasferimento ed all’interrogatorio dei prigionieri, costituiscono una chiara forma di punizione collettiva vietata dall’articolo 3 della Convenzione di Ginevra; inoltre, sempre per rendere invivibile la permanenza illegale in carcere, gli aguzzini israeliani hanno istituito un lockdown per tutti i centri di detenzione, vietando così anche un minimo contatto con i familiari e gli avvocati (avvocati il cui accesso è previsto solo in casi eccezionali, come è avvenuto, dopo giorni di torture ai palestinesi fuggiti e ripresi dopo 2 settimane di ricerche ), esemplificando così la repressione arbitraria, punitiva e di rappresaglia.
Ad oggi, i sei palestinesi fuggiti , come sappiamo, sono stati nuovamente ricondotti nei carceri di massima sicurezza e dalle foto rubate e dalle dichiarazioni dei loro avvocati, sono stati interrogati sotto tortura, in special modo Zakaria Al Zubeidi, portato poi in ospedale per fratture e in precarie condizioni di vita. Zubeidi è stato il principale artefice dell’intifada, leader a suo tempo della lotta contro l’occupazione, e promotore del Freedom Theatre di Jenin. La tortura ai prigionieri politici costituisce una condotta vietata dall’art. 1 della Convenzione in materia, secondo il quale il termine tortura designa qualsiasi atto con cui sono inflitte ad una persona sofferenze acute fisiche e psichiche al fine di ottenere confessioni o punirla per atti che ha commesso.
Il gesto dei sei palestinesi è stato comunque un segnale di riscossa e di libertà, di non aver ancora rinunciato alla vita, che è e sarà pagata a caro prezzo dai prigionieri politici tutti e dalla popolazione palestinese.
Israele imporrà come suo solito, punizioni collettive contrarie ad ogni legalità e non ne pagherà mai il prezzo, grazie alla complicità dei nostri governi e del governo USA che ha sempre protetto Israele qualunque azione facesse contro il popolo palestinese, rendendosi complice delle violazioni del diritto umanitario, dei diritti umani e degli assassinii. Il popolo palestinese sta conducendo, da solo, una lotta per la libertà e la dignità; i suoi nemici sono l’oppressione, la negazione dei diritti, la segregazione, l’apartheid, e soprattutto l’indifferenza e la volontà di non agire del mondo occidentale nei confronti di un Israele occupante.
Marwan Barghouti, il leader storico palestinese, da anni incarcerato nelle prigioni israeliane, diceva che di fronte al sistema coloniale razzista che diffonde violenza, segregazione e oppressione, noi tutti dal carcere e fuori di esso, dobbiamo diffondere una visione pluralista ed il riconoscimento dei diritti umani. La comunità internazionale ha l’obbligo POLITICO, MORALE E LEGALE di agire in difesa della giustizia e di sostenere e promuovere il diritto internazionale, questa responsabilità ricade sui governi, sui rappresentanti eletti, sui rappresentanti dei partiti che credono nel diritto e nella libertà, sui sindacati, sui movimenti della società civile, su ognuno di noi come cittadini.
Oltre a far sentire la nostra voce bisogna aderire al movimento internazionale del BDS, disinvestimento e sanzioni contro Israele che tanto ha prodotto contro l’apartheid in SudAfrica. Importante riproporre un appello per la liberazione dei prigionieri politici palestinesi, bambini e donne, e questo può essere un atto che il prossimo congresso nazionale del nostro partito può attuare, ricominciare a denunciare le violenze quotidiane contro la popolazione palestinese, facendo sentire la nostra voce in tutti i luoghi possibili. Libertà per la Palestina!

Mariella Valenti
responsabile immigrazione Federazione livornese Partito della Rifondazione comunista – Sinistra Europea

XI congresso della Federazione livornese: il compagno Marco Chiuppesi nuovo segretario

Sabato 25 settembre si è svolto l’XI congresso della Federazione livornese del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea.

Nella mattina ci sono stati i saluti e gli interventi degli ospiti in rappresentanza di numerose realtà politiche e associative – Africa Academy Calcio, AGEDO, ANPI, Associazione di amicizia Italia-Cuba, Associazione Italia-Palestina Onlus, Arci Bassa val di Cecina, Potere al Popolo, Partito Comunista Italiano, Sinistra Anticapitalista.

A seguire si è svolto, proseguendo nel pomeriggio dopo una interruzione per il pranzo, il dibattito dei delegati rappresentanti degli 8 circoli territoriali (Borgo/porto, Castagneto Carducci, Castellina Marittima, Cecina, Collesalvetti, Livorno nord, Livorno Sud, Rosignano Marittimo). Il congresso ha poi votato il documento congressuale nazionale e le tesi alternative e aggiuntive al documento, gli ordini del giorno e il documento politico elaborato dalla apposita commissione.

Il congresso ha quindi nominato i delegati della Federazione livornese ai congressi regionale e nazionale, e il nuovo Comitato Politico Federale. Questo organismo nella nuova composizione ha eletto la tesoriera, la compagna Viviana Coppini, e il nuovo segretario della Federazione, il compagno Marco Chiuppesi, che succede nell’incarico al segretario uscente, il compagno Francesco Renda.

46 anni, dottore di ricerca in Storia e sociologia della modernità, impiegato nel settore delle telecomunicazioni, nella segreteria uscente Chiuppesi era responsabile comunicazione.

La Federazione livornese fa i migliori auguri di buon lavoro al nuovo segretario e alla tesoriera della Federazione, ed ai delegati ai congressi nazionale e regionale!

Sulle violenze del 15/9 in Via Buontalenti

Ci sono tutti i presupposti perché situazioni come la violentissima rissa di ieri sera in Via Buontalenti si ripetano.
Noi crediamo che le risposte non possano essere solo di ordine pubblico. Certo appare l’aspetto più immediato ed urgente, ma pensiamo che di un fenomeno come questo vadano capiti gli aspetti meno evidenti per poter intervenire in modo veramente efficace e duraturo.
Prima di poter dare delle risposte, alla politica forse occorre fermarsi un attimo. Forse prima delle risposte occorre fare le domande giuste. Noi ci proviamo, pronti a dialogare ed approfondire con chi muova da esigenze simili.
Quanta droga, in particolare quanta cocaina circola in città? Siamo il crocevia di traffici che partono da dove, e verso dove vanno? Cosa rimane sul territorio di questi traffici, anche a livello di organizzazioni criminali?
Quanto incide sulla situazione il fatto che la realtà economica livornese sia stata devastata da decenni di chiusure di fabbriche e attività produttive?
Quanto incide la diffusione di un modello di distribuzione delle merci basato su grandi poli situati in periferia, con la chiusura di molte attività commerciali di quartiere?
Quanto incidono modelli di socialità basati sul consumo e sulla pervasiva mercificazione di ogni aspetto dell’esistenza?
Quali vuoti creano, con cosa li si cerca di riempire?
Quali sono gli strumenti a disposizione di una amministrazione locale per intervenire sulle diverse dimensioni di questa situazione?
In che direzione investire le risorse che possono essere usate per migliorare la situazione, come ottenerne altre?
Quali sono gli altri attori da poter coinvolgere: altri livelli dell’amministrazione, altri enti locali, associazioni?
Non abbiamo risposte definitive, ma crediamo che questo sia un punto di partenza adeguato alla gravità della situazione e per ottenere una vera sicurezza sociale.

La Segreteria della Federazione livornese Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea

Sabato 11: presidio contro le missioni militari all’estero

Sabato 11 settembre dalle ore 17:00 in Piazza Grande a Livorno si svolgerà un presidio per chiedere la fine delle missioni militari italiane all’estero.
Rifondazione partecipa con molte altre soggettività al coordinamento unitario che ha indetto l’iniziativa, di seguito il comunicato di convocazione dell’iniziativa e quello di presentazione del coordinamento.

Sabato 11 settembre h 17 Piazza Grande
Basta guerre e frontiere


Solidarietà alla popolazione afghana
Per il ritiro delle missioni militari all’estero.

XXXX Invitando tutte le realtà e i singoli a partecipare, si chiede di evitare la presenza di bandiere e striscioni di singole sigle, dal momento che si tratta della prima iniziativa pubblica di un coordinamento unitario XXXX

20 anni fa iniziava la “guerra al terrore”, con l’invasione dell’Afghanistan nell’ottobre 2001 a cui seguì nel marzo 2003 l’invasione dell’Iraq. Una guerra che ha portato terrore, morte, distruzione in quei paesi, una guerra a cui l’Italia, nel quadro della NATO, ha partecipato con un grande dispiegamento di soldati e mezzi militari.
Giustificata dalla “caccia” ai responsabili degli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti, fu subito chiaro che l’intervento militare della coalizione non si sarebbe limitato ad una “operazione di polizia internazionale” ma si sarebbe trasformato in una guerra d’invasione. Dopo venti anni di occupazione, gran parte della popolazione afghana vive ancora nella miseria, nell’oppressione, nella guerra, nella violenza patriarcale. In queste settimane grazie agli accordi con gli USA e con la complicità dei suoi alleati, viene restaurato il regime talebano. La vicenda afghana mostra quali siano le conseguenze delle missioni militari, e mostra tragicamente l’urgenza di prendere l’inziativa per il ritiro immediato delle missioni ancora in corso, per garantire la libertà di movimento ai profughi e a tutt* coloro che sono in fuga dal paese, per rilanciare l’impegno di
solidarietà concreta tra i soggetti sfruttati e oppressi in tutto il mondo.
Il presidio dell’11 settembre in Piazza Grande è organizzato dal Coordinamento cittadino per il ritiro immediato delle missioni militari all’estero. Di seguito il testo di presentazione del Coordinamento.

BASTA MISSIONI MILITARI!
Si è costituito a Livorno il Coordinamento cittadino per il ritiro immediato delle missioni militari italiane all’estero. Questo coordinamento ha lo scopo di lanciare una campagna per fermare il
crescente intervento militare dello Stato italiano all’estero. Al momento le missioni militari sono 40, di cui ben 18 in Africa.
Per giustificare l’invio delle truppe in zone di guerra il governo italiano ha cercato, soprattutto nei decenni passati, di dipingere d’arcobaleno i suoi carri armati utilizzando la retorica della “missione
umanitaria” o addirittura “di pace”. Negli ultimi anni la retorica è cambiata, e sempre più spesso il governo parla di difesa “dell’interesse nazionale” o“delle risorse strategiche”. Un cambiamento della propaganda ufficiale che risponde alle esigenze di una nuova strategia militare, più aggressiva e predatoria.
Al di là delle giustificazioni ufficiali, le ragioni che muovono le missioni di guerra sono sempre le stesse: controllo delle risorse, ossia dei siti estrattivi e delle principali infrastrutture che ne permettono il passaggio; spartizione delle aree di influenza politica ed economica e repressione delle istanze sociali e di classe; controllo delle zone considerate centrali per i movimenti migratori; pubblicità per armamenti, mezzi ed equipaggiamenti militari italiani per i governi delle regioni in cui sono impiegati.
Questo è evidente se guardiamo a cosa corrisponde ciò che il governo italiano chiama “Mediterraneo allargato”, questo spazio geografico che è considerato di “interesse nazionale” è delimitato a nord dalla Libia, dal Golfo di Guinea a ovest e dal Corno d’Africa a est. Ma questo
interesse che viene definito nazionale non è che l’interesse delle classi dominanti, del governo, delle grandi multinazionali.
Basti pensare al ruolo dell’ENI che ha impianti importanti sia in Libia sia nel Delta del Niger, e dopotutto la missione della Marina Militare italiana nel Golfo di Guinea ha ufficialmente l’obiettivo di difendere le strutture dell’ENI, oltre alla cosiddetta lotta alla “pirateria”. In alcune di queste zone la guerra si combatte davvero, come in Sahel. Qui la Francia si trova da anni impantanata in un conflitto sanguinoso che ha già fatto molte vittime civili, ed è in questo contesto di guerra che
stanno intervenendo anche le truppe italiane, con la partecipazione alla missione Takuba a supporto dei francesi e con la costruzione di una base italiana in Niger. La forte presenza militare italiana garantita dalle missioni determina povertà per le popolazioni locali e grossi affari per l’industria bellica.
Anche per sostenere queste guerre la spesa militare dello Stato italiano è in costante aumento. Nel 2020, mentre di fronte alla pandemia collassava il servizio sanitario, già devastato da decenni di tagli, privatizzazioni e peggioramento delle condizioni di lavoro, lo Stato italiano aveva deciso di aumentare a 24,97 miliardi la spesa militare per il 2021. Un aumento dell’8,1 % rispetto all’anno precedente, deciso nonostante la situazione di crisi imposta da anni e rafforzata dall’emergenza sanitaria ponesse ben altre priorità. L’aumento delle spese militari è soprattutto andato a scapito della spesa sociale, in particolare sanità e scuola. Inoltre parte consistente dei finanziamenti
previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per la transizione ecologica e digitale, se le accaparrerà la Difesa con la scusa dell’innovazione delle Forze Armate.
Si tratta di risorse sottratte alla collettività, ai salari, agli ammortizzatori sociali, alle pensioni, alla sanità, ai consultori e ai centri antiviolenza, alla scuola, all’assistenza, alle bonifiche, alla messa in sicurezza dei territori, della rete di trasporti, dei luoghi di lavoro. La spesa militare è finanziata a debito dai governi, i cui oneri sono sostenuti da una tassazione che grava sempre di più sui ceti
popolari e sulla classe lavoratrice. L’aumento del debito al contempo finisce per determinare un’inflazione che erode il potere d’acquisto dei salari e delle pensioni. L’impegno militare dello Stato italiano peggiora la situazione di tutti, delle popolazioni che subiscono l’ingombrante presenza delle truppe italiane come delle classi sfruttate in Italia. La nostra campagna antimilitarista è una campagna internazionalista e solidale.
La militarizzazione è ormai una costante anche all’interno dei confini nazionali. I militari sono schierati alle frontiere dell’Italia e dell’Unione Europea, per sbarrare la strada a chi emigra dal proprio paese, in molti casi proprio a causa delle politiche neocoloniali dello stato italiano o dei suoi alleati. Con la missione «Strade Sicure» i militari dal 2008 pattugliano con armi da guerra le strade, le piazze e le stazioni delle nostre città, e in alcuni casi sono impiegati anche in funzione di ordine pubblico, con equipaggiamento antisommossa, nella repressione di manifestazioni e proteste, come ad esempio contro il movimento NO TAV.
Opporsi alle missioni militari all’estero significa anche opporsi alla devastazione ambientale. Basti pensare che anche sul piano ufficiale parte delle missioni militari italiane hanno il principale scopo di tutelare le attività dell’ENI che avvelenano intere regioni del pianeta, come sul Delta del Niger.
Per quanto abbia modificato gli strumenti di propaganda, il governo continua in molti casi a giustificare le missioni militari come interventi a difesa della pace, della democrazia, dei diritti delle donne. Ma sappiamo bene che le donne, le soggettività non binarie, le comunità LGBTQ si trovano invece a dover fronteggiare la violenza perpetrata dagli eserciti. Sono proprio le donne che in ogni guerra sono trasformate in territorio di conquista, perché la violenza di genere, il dominio patriarcale è parte integrante del militarismo, e lo stupro è un’arma di guerra spesso usata anche da quelli che dovrebbero essere contingenti di pace, come nel caso della missione militare italiana in
Somalia nel 1992, in cui la brigata paracadutisti folgore compì violenze atroci.
La vicenda dell’Afghanistan è emblematica e mostra tragicamente, dopo vent’anni di occupazione NATO nel paese, tutti gli aspetti inutili e dannosi delle missioni e l’assenza assoluta di qualsiasi finalità “umanitaria”: oltre 240 mila morti, di questi 70.000 civili, mentre all’Italia questa guerra è costata 8,7 miliardi e 53 morti.
Per questo abbiamo deciso di impegnarci su un tema che è tra i meno conosciuti e i più importanti dell’agenda di governo, convinti che solo l’opposizione dal basso possa contrapporsi efficacemente a questa politica.
Le associazioni e le individualità che hanno dato vita al coordinamento comunicheranno i prossimi appuntamenti. L’adesione al coordinamento è sempre possibile, purché se ne condividano obiettivi e metodi.
Per contattare il coordinamento scrivere a : no_missioni_livorno@anche.no
Coordinamento cittadino per il ritiro immediato delle missioni militari italiane all’estero
Livorno, 5 settembre 2021

25° anniversario della scomparsa della compagna Edda Fagni

il 28 agosto 2021 ricorre il venticinquesimo anniversario della scomparsa della compagna Edda Fagni.
Docente universitaria di pedagogia, aderì al PCI col quale fu assessore a Livorno dal 1975 al 1980, per diventare poi consigliera regionale e deputata; tra i fondatori di Rifondazione Comunista, col PRC fu eletta senatrice nel 1992 e rieletta nel 1994.
La Federazione livornese del Partito della Rifondazione Comunista e la Federazione livornese del Partito Comunista Italiano ricorderanno la compagna Fagni alle 11:00 del 28/8 presso il tempio della cremazione del cimitero comunale della Cigna (detto “dei lupi”). Sono invitati a partecipare tutte e tutti coloro che ricordano con affetto e stima la compagna e le sue battaglie per una società più giusta