di Giancarlo Lannutti
da Liberazione
Da quando è diventato “sapiens”, cioè essere pensante e ragionante, la storia dell’uomo è stata sempre caratterizzata da un desiderio insopprimibile di spingersi al di là dei confini del suo mondo abituale per sfidare l’ignoto, per esplorare quello che c’è al di là dell’orizzonte conosciuto. Lo testimoniano tutte le storie e le leggende dell’antichità, dal volo sfortunato di Icaro al viaggio avventuroso di Ulisse e al mito delle Colonne di Ercole; racconti ed eventi che hanno nutrito la nostra gioventù sui banchi di scuola e che hanno costituito l’antefatto, o piuttosto il primo atto, di una infinita serie di esplorazioni anch’esse diventate spesso leggendarie, fino a quelle dei giorni nostri, come le spedizioni polari, la cosiddetta conquista del Terzo Polo (cioè delle 14 vette himalayane superiori agli 8mila metri) e – ultimo in ordine di tempo ma non di importanza – il volo nello spazio e lo sbarco sulla Luna. Ecco: il volo, lo spazio, la Luna; fra tutte le sfide verso l’ignoto questa è forse la più antica, la più ambita e anche la più sofferta, l’ansia ancestrale di “fare come gli uccelli”, di infrangere le catene che ci tengono con i piedi per terra, anche quando non sapevamo (o non sapevano ancora) che la Terra è rotonda e che quelle catene si chiamano forza di gravità. E quale nome se non quello di Yuri Gagarin può meglio di ogni altro simboleggiare quell’ansia, quella spinta e – alla fine – quella conquista? Gagarin, il piccolo uomo che per primo nella storia dell’umanità ha provato l’emozione e il privilegio di librarsi non solo nel “nostro” cielo ma addirittura alle soglie delle profondità nere del cosmo.