Rifondazione al bivio

Intervista a Claudio Grassi (mozione 1) e Gennaro Migliore (mozione 2) sul presente ed il futuro di Rifondazione Comunista.

Partiamo dalle ragioni della sconfitta. In particolare quelle soggettive, quella che un tempo si sarebbe chiamata «autocritica». Quali errori avete commesso?

 

GRASSI: Io credo che la ragione principale della sconfitta stia nei due anni del governo Prodi. Abbiamo deluso le aspettative suscitate durante la campagna elettorale. Il nostro motto era: «Vuoi vedere che l’Italia cambia davvero?  ». E in verità è cambiata, ma in peggio. Così si è creata disillusione e lacerazione col nostro elettorato. L’impianto politico col quale siamo andati al governo, il pensiero che esso fosse permeabile ai movimenti, si è rivelato sbagliato.

 

MIGLIORE: Io credo che la sconfitta sia l’approdo di un percorso più lungo, in cui le ragioni oggettive e soggettive si sovrappongono. Concordo con Grassi quando dice che abbiamo sopravvalutato lacapacità nostra di supplire a un contesto profondamente negativo. Vale l’esempio che ha fatto Bertinotti: il programma di governo era come un manuale di istruzioni, senza però che ci fosse una condivisione strategica. Ma quell’errore di prospettiva è stato commesso in un contesto di forte domanda del Paese di cambiare il governo Berlusconi. Non so se nel 2006 avremmo potuto compiere una scelta diversa da quella dell’Unione. Poi forse abbiamo ecceduto in tatticismo. La relazione con i movimenti è finita sullo sfondo, e il mancato decollo di un progetto unitario chiaro e convincente ha portato la Sinistra arcobaleno a essere travolta nel mezzo del guado. Con un processo unitario più forte e maturo avremmo forse potuto esercitare una pressione più incisiva sull’azione di governo.

 

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Il Tibet visto da est

Appelli italiani e blog cinesi: la verità sugli scontri tra monaci e polizia non è una sola. A Pechino monta il risentimento contro il “complotto occidentale”

di Cecilia Tosi

da Left

Domenico Losurdo, ma anche Sergio Romano. Gianni Vattimo, ma anche Luciano Canfora. Non è la lista dei candidati del Partito democratico, ma quella dei firmatari di un appello che invita tutti a protestare contro «un’indegna campagna di demonizzazione della Repubblica Popolare Cinese». Dopo le dichiarazioni di solidarietà arrivate ai ribelli tibetani da ogni parte del mondo, da altri fronti  sono giunte le critiche a giornali e televisioni occidentali, ritenuti colpevoli di aver dato spazio solo a una delle possibili interpretazioni della verità. «La realtà – scrivono i firmatari dell’appello – è che nel suo folle progetto di dominio planetario, l’imperialismo mira a smembrare un Paese che da molti secoli si è costituito su una base multietnica e multiculturale», Più pacati, ma egualmente polemici, i toni degli interventi sul forum di Associna, l’Associazione italiana delle seconde generazioni cinesi: «Non riesco a capire ’sti monaci, le fede buddista li dovrebbe guidare verso la ricerca di sè stessi, la meditazione e vivere lontano dalla politica. Perché devono fare politica?» scrive “Jie”. «Altro che pacifisti questi monaci», concorda “Zsw”, «bruciano auto della polizia e negozi, ci manca solo che fanno attentati. Non vi pare che siano per di più estremisti?».

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Prospettive e immaginario. Perché ripartire dalle/i Giovani Comuniste/i

di Anna Belligero* e Simone Oggionni**

Sull’ultimo numero di Argomenti umani Agostino Megale riporta, in un lungo saggio di analisi del voto di aprile e dei flussi elettorali, i risultati di un’inchiesta di Swg. Tra questi, ve ne sono alcuni su cui varrebbe la pena soffermarsi. Soltanto il 3,07% dei giovani tra i 18 e i 24 anni ha scelto la Sinistra Arcobaleno. Se consideriamo i lavoratori della stessa fascia d’età (presumibilmente in larga parte lavoratori dipendenti e – dicono le statistiche – titolari di contratti atipici e precari) la percentuale scende al 2,5%.
Queste cifre indicano che la disaffezione che ha prodotto la perdita di quasi tre milioni di voti è stata ancora più devastante tra i giovani, contraddicendo e rovesciando la costante di un voto giovanile tradizionalmente più spostato a sinistra; e che, soprattutto, essa ha colpito con una estensione maggiore proprio i lavoratori.
Ma cosa nasconde questa “disaffezione”? Lo abbiamo detto tutti: la delusione per un’esperienza di governo fallimentare durante la quale la sinistra non è riuscita a incidere significativamente sull’azione dell’esecutivo; il disorientamento per la vacuità di un progetto politico – quello della Sinistra Arcobaleno – presentato come la giustapposizione di “tendenze culturali” spesso radicalmente distinte; infine, il senso di una sconfitta (di valori, di radicamento sociale, di prospettive) di lungo periodo.

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Russia: Quando il vento soffia, ma mancano le vele: risposta a Jakushev

di Anton Baumgarten
 
Le tesi espresse nell’ultimo saggio di Dmitrij Jakushev «Tesi sulla prospettiva socialista in Russia dopo Putin»[1] meritano un’attenta analisi. Le questioni teoriche generali discusse sono estremamente importanti, a maggior ragione per il fatto che l’Autore le passa in esame attraverso il prisma del momento storico attuale, il passaggio del potere presidenziale in Russia da Putin al suo successore Dmitrij Medvedev. Purtroppo, egli scrive di cose serie con una sconvolgente negligenza però sia rispetto ai fatti che alla logica stessa, e non solo giungendo a conclusioni affrettate, ma presentando queste ultime sotto forma di indiscutibili assiomi. 

Inizierò con le sue valutazioni di questo momento «medvedeviano». A mio parere nell’articolo è stato esagerato il carattere di discontinuità fra il corso di Putin e la supposta (!) direzione che invece prenderà Medvedev, così come lo stesso corso di Putin è stato rappresentato in una luce molto idealizzata. L’obbiettivo che Putin si pose non fu la nazionalizzazione dei settori strategici dell’economa, ma il loro passaggio di mano dall’oligarchia compradora e dai monopoli occidentali ai burocrati statali e ai capitalisti provvisti di una «visione nazionale». Putin è sempre stato e resta un neoliberale in economia, una creatura della restaurazione capitalista, come Medvedev del resto. La questione però è se Putin sia riuscito o meno durante il suo governo a creare una classe borghese in Russia: io penso di no. Ad ogni modo le ultime scoperte effettuate dal gruppo Burcev.ru[2] dimostrano come la «nazionalizzazione» di Putin sia di fatto sfociata nella creazione di un complesso Finanziario-Industriale-Energetico (FIE), monopoli e oligopoli in cui sono fortemente intrecciati apparato burocratico dello Stato, capitalisti privati e i vertici dei servizi segreti e del mondo criminale.

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Al mondo serve il socialismo, prima che sia troppo tardi

di Fidel Castro

In risposta ad un giornalista cubano, Fidel Castro in una lettera ha dichiarato che i principi del socialismo bisognerebbe appiccarli immediatamente e su scala mondiale, dopo sarà troppo tardi.
 
“Penso che nel mondo di oggi i principi del socialismo dovrebbero essere già applicati , dopo sarebbe troppo tardi”, afferma il lider della Rivoluzione Cubana in una lettere diretta alla giornalista Alina Perera e pubblicata dal quotidiano Juventud Rebelde. Su quello stesso giornale Perera aveva pubblicato un articolo d’opinione intitolato: “Traffico di regalie” in cui affermava che non era interessata ad un socialismo “grigio e annoiato”.

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Perché il prezzo del petrolio è così alto?

Debolezza del dollaro, cattive politiche federali e speculazioni dei fondi ad alto rischio.
 
di Paul Craig Roberts* – CounterPunch

 Come si spiega il prezzo del petrolio? Perché è così alto? Lo stiamo davvero finendo? Sono state interrotte le forniture, o gli alti prezzi sono il riflesso della bramosia delle compagnie petrolifere, oppure dell’OPEC? Chavez e i sauditi ci stanno cospirando contro?
 
Secondo la mia opinione sono due i fattori principali dell’aumento del prezzo del greggio: la debolezza del valore di cambio del dollaro statunitense e la liquidità che la Federal Reserve Bank sta mettendo in circolazione.
 
Il dollaro debole è una conseguenza del grande deficit finanziario e commerciale il cui esito sfugge alla politica statunitense. Siccome gli abusi hanno finito con lo svilire il ruolo del dollaro statunitense come moneta di riserva, i venditori chiedono più dollari come copertura a fronte del cambio al ribasso e alla sua perdita di credibilità come valuta di riserva.

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