«Via Berlusconi ma anche il berlusconismo»

Inizio dei lavori al congresso della FdS di Livorno

 

 LIVORNO. Più un’assemblea costituente che un congresso vero e proprio: così dagli stessi intervenuti è stato definito il primo congresso provinciale della Federazione della Sinistra. Si è stretto un “patto federativo” – parole di Lorenzo Cosimi – tra i due maggiori partiti d’ispirazione marxista, Rifondazione Comunista e Comunisti Italiani e altre forze come Lavoro e Solidarietà, Socialismo 2000 e Associazione Consumatori.
 Il coordinamento provvisorio presente al congresso, oltre ai due segretari Lorenzo Cosimi e Michele Mazzola, conta anche su Tiziana Bartimmo e Alessandro Trotta. L’organigramma definitivo a livello provinciale della nuova formazione politica sarà conosciuto la prossima settimana, dopo il congresso nazionale a Roma dal 19 al 21 novembre.
 «Per ripartire – dichiara Lorenzo Cosimi – occorre creare una piattaforma comune per cacciare sì Berlusconi, ma anche il berlusconismo, ovvero il sistema culturale e morale creato dalle nuove destre». L’analisi degli scenari politici futuri è l’argomento più dibattuto e non mancano divergenze e incertezze riguardo la collocazione politica della Fds rispetto a Sel e Pd, mentre la centralità del lavoro è da tutti condivisa: prova ne è l’assemblea con le Rsu di Azimut, Giolfo e Calcagno, Sacci.
 Altri punti fermi sono la difesa dell’ambiente, lo sviluppo delle energie rinnovabili e il diritto alla casa. Proprio di emergenza abitativa ha parlato l’Unione Inquilini: un grido d’allarme culminato nella richiesta d’intervento della Protezione Civile per l’emergenza dei senza tetto. La Fds ha dichiarato anche che al referendum sull’ospedale inviterà a votare “sì”, cioè contro la localizzazione di Montenero, a favore del progetto Mariotti di rinnovamento della struttura di Viale Alfieri.
 Tra gli ospiti esterni sono intervenuti anche Giorgio Kutufà, presidente della Provincia, e Enzo Raugei, consigliere comunale del Pd, mentre l’intervento di Bruno Zeri del coordinamento nazionale di Rifondazione ha chiuso il congresso sottolineando l’importanza dell’unità della sinistra per la lotta in difesa dei lavoratori e dei valori democratici e costituzionali.


Comunicato stampa sull’accordo sulla Giolfo e Calcagno

Livorno, 11 novembre 2010

Chiuso il rubinetto del gas ai lavoratori della Giolfo e Calcagno, la liquidatrice è stata irremovibile sul prolungamento della cassa integrazione in deroga di cui la Regione si sarebbe fatto carico fino ad un altro anno, a tale proposito i lavoratori si erano resi disponibili a qualsiasi proposta.

Ma, era nell’aria l’interesse a forzare i tempi per chiudere velocemente questa partita con i lavoratori in lotta e non possiamo sottolineare come gli strumenti utilizzati sono stati a dir poco vergognosi. Dopo due anni di crisi dichiarata (crisi non dipendente dalla capacità produttiva o di mercato ma esclusivamente problemi legati alla gestione della proprietà), dopo due settimane di occupazione con la protesta di Claudia Cerase salita il 2 novembre sul tetto della fabbrica, a soli tre giorni dalla scadenza della Cassa integrazione, finalmente il tavolo con le Istituzioni e la presenza di Centro Banca e della liquidatrice. Oltre sei ore di tentativi di trattativa per portare la liquidatrice a ragionevoli consigli, il risultato è stato un ultimatum, fino ad arrivare al il ricatto del fallimento della società, minacciando in questo modo di ritardare il pagamento del TFR, infine solo pochi minuti in cui si poteva solo accettare l’unica proposta messa in campo dalla liquidatrice.

L’accordo di fatto riconferma quello del gennaio 2009, cioè un impegno a facilitare le condizioni di ricollocazione del personale attualmente impiegato in funzione delle opportunità di reindustrializzazione che si presenteranno e a baratto di un solo mese di continuità di Cassa Integrazione, è stato preteso il rinnovo della concessione demaniale da parte dell’Autorità Portuale e persino la sistemazione della banchina, oltre ad interrompere le iniziative di lotta ed eventuale occupazione del sito da parte dei lavoratori. Pertanto al 31 dicembre, i lavoratori riceveranno la liquidazione delle competenze previa conciliazione individuale in sede sindacale e saranno messi in mobilità. Cioè licenziati.

Siamo sinceramente convinti che era possibile fare di più e in particolare che le istituzioni avrebbero potuto imporsi maggiormente, considerato che concessione e risanamento della banchina significano soldi, risorse pubbliche che certamente agevoleranno la vendita e incentiveranno l’acquisto del sito anche se sulla richiesta pretesa ancora rimane un mistero, a parte la smentita dei 25 milioni di euro.

Lo diciamo con affetto e sincerità Claudia ha fatto un grandissimo lavoro, la sua lotta e la sua determinazione è stato certamente un esempio per i tutti lavoratori delle altre industrie che nella nostra provincia soffrono delle stesse difficoltà e incertezze per il futuro come dimostrato dalla solidarietà e presenza ai presidi delle delegazioni di altre industrie cittadine.

Ormai l’accordo è siglato e una cosa è certa, cosi come certamente faranno le OO.SS., ma per quanto di nostra competenza, vigileremo e seguiremo passo per passo il percorso futuro affinché tutti i 59 lavoratori in mobilità restino effettivamente attaccati alla destinazione del sito e che l’impegno sottoscritto con l’accordo del gennaio 2009 si concretizzi in atti di ricollocazione al lavoro, il prima possibile.

 

Silvio Lami – capogruppo PRC Provincia di Livorno

Michele Mazzola – capogruppo PdCI Provincia di Livorno

Grecia, il Pasok tiene e i comunisti volano alto

di Victor Castaldi

su Liberazione del 09/11/2010

Nonostante un crisi economica brutale e delle soluzioni per venirne fuori ancor più devastanti del male, il premier Papandreou ha vinto la sua scommessa, passando indenne le forche caudine delle temutissime elezioni regionali. Il suo partito socialista ha infatti tenuto botta, arrivando al primo posto in sette delle 13 megaregioni in cui è suddivisa la mappa amministrativa della Grecia e che sostituiscono per la prima volta le precedenti 57 province. Papandreou si libera così dello spettro di elezioni politiche anticipate che aveva evocato alla vigilia in caso di una netta sconfitta. «Il popolo che ci portò al potere un anno fa ha confermato che vuole il cambiamento, e quindi proseguiremo per la nostra strada con i nostri obiettivi», ha detto a caldo il premier. Un discorso che è piaciuto molto ai mercati, tanto che la Borsa di Atene ha aperto in netto rialzo. Certo, il Pasok ha vinto ma non ha convinto. Se un anno e mezzo fa i distaccava l’opposizione di centrodestra di oltre dieci punti, oggi la distanza tra i socialisti e Nuova Democrazia si è ridotta al 2,5%. I conservatori riescono infatti ad imporsi nel grande collegio della Macedonia centrale e nelle due principali aree metropolitane del paese, Atene e Salonicco dove si andrà comunque al ballottaggio. Un discreto risultato anche se la tanto evocata rimonta non c’è stata. anche perché i greci ricordano le responsabilità dell’ex premier Karamanlis nella crisi. Alla fine l’unico vincitore della contesa è il Partito comunista (Kke), che sfiora il 12% dei consensi, oltre quattro punti in più rispetto alle legislative del 2009, con un picco del 15% proprio nella regione di Atene, dove sarà più che decisivo per gli esiti del secondo turno. Un’affermazione, quella del Kke che da una parte inceppa il meccanismo bipolarista che caratterizza da decenni la scena politica ellenica. E che dall’altra raccoglie la rabbia di coloro che più di tutti hanno pagato il prezzo della crisi economica, impiegati pubblici, lavoratori dell’industria, giovani disoccupati; un elettorato che, dopo il piano lacrime e sangue varato dal governo per fronteggiare la recessione, ha voltato le spalle al Pasok e che ora si rivolge altrove. In mezzo a questi dati, spicca un’astensione altissima, superiore al 40%, anch’essa figlia della crisi economica e della frustrazione di un paese che dal punto di vista sociale sembra costantemente borderline. Se il premier può tirare un sospiro di sollievo per aver evitato una disfatta elettorale, farebbe comunque bene a riflettere sul sgnificato politico del voto di domenica e sul giudizio che i greci hanno delle ricette economiche ddell’esecutivo.«Papandreou canta vittoria, ma non ha affatto compreso il messaggio degli elettori i quali hanno respinto la politica di asuterità e tagli sociali concertata dal governo con l’Unione europea e il Fondo monetario», ha commentato la segretaria del Kke Aleka Papariga, lasciando intendere che il suo partito non farà sconti ai socialisti. A cominciare dai ballottaggi.