Reportage da BEIRUT 16-19 gennaio 2009

  

FORUM INTERNAZIONALE: PER SOSTENERE LA RESISTENZA ANTI-IMPERIALISTA DEI POPOLI E LA COSTRUZIONE DELLE ALTERNATIVE ALLA GLOBALIZZAZIONE

Visita ai campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila
di Massimo De Santi Pres. CIEP  e Giovanna Pagani Pres. On WILPF Italia

Partecipare al Forum Internazionale di Beirut è stata un’importante opportunità storica, politica, culturale  e umana.
Erano i giorni in cui volgeva al termine la feroce aggressione militare di Israele alla popolazione della striscia di Gaza e quel meeting è stato un osservatorio particolare dell’ennesimo dramma vissuto dal popolo palestinese, proprio perché potevamo esserne i testimoni da un’altra prospettiva, arricchita dalla  versione dei fatti  dei diretti interessati, tra cui anche gli Hezbollah e Hamas, oltre che i protagonisti della resistenza in Iraq e in Libano dopo l’ultima aggressione di Israele del 2006. Possiamo assicurare che di fronte agli occhi  dei bambini palestinesi di Sabra e Shatila che ci guardavano con curiosità e speranza,  ai  racconti delle persone torturate nel carcere di Abu Ghraib in Iraq e alle testimonianze   della quotidianità di anni di guerra e aggressione, i filtri mentali  della subdola equidistanza europea, i pregiudizi culturali  verso il mondo islamico e l’arroganza della cosiddetta democrazia occidentale appaiono un crimine. Un crimine perché  consente le drammatiche sofferenze di popoli,  condannati alla non vita, dal cinismo politico–militare di strategie imperialiste di stampo nazi-fascista che agiscono impunite,  seppure viviamo nell’epoca che dovrebbe essere quella dell’ONU e del Diritto Internazionale.
Promosso da: Centro Studi e Documentazione di Beirut, Campagna Internazionale contro l’Occupazione americana e sionista (Conferenza del Cairo –Egitto) Forum Internazionale Anti-imperialista di solidarietà tra i Popoli (Conferenza di Calcutta-India), Campagna Stop alla Guerra (Londra) l’incontro ha visto la partecipazione di  più di 500 rappresentanti di ben 66 paesi provenienti da più  continenti. Molto numerosa la presenza delle delegazioni dell’America Latina, dell’Asia e del Vicino Oriente, ma ben rappresentata pure l’Europa e significativa la presenza e la partecipazione delle donne anche dal mondo arabo-islamico.
Di particolare rilievo le questioni  discusse nel Forum.
– Il sostegno alla resistenza dei popoli e  alla lotta di emancipazione anti-coloniale con specifici riferimenti al diritto internazionale che definisce la resistenza un diritto inalienabile dei popoli (preambolo Dichiarazione dei Diritti Umani – ONU 1948), alle problematiche delle contraddizioni ideologiche e alla relazione tra resistenza e cambiamento sociopolitico. In sintesi si è rivitalizzato il concetto di “cultura della resistenza” che nutre la lotta contro l’imperialismo e promuove la solidarietà tra i popoli. Personaggio di spicco tra gli altri Ramsey Clark (già Segretario di Stato americano alla Giustizia, insignito del Premio dei Diritti dell’Uomo dell’ONU).
– Il rifiuto della dittatura di mercato e la costruzione di alternative attraverso reti di interdipendenza tra  Settori e tra Comunità locali,   con specifico riferimento al rafforzamento delle reti di solidarietà e al tema della sicurezza alimentare.
– Le alternative politiche alla crisi globale del capitalismo,  con particolare riferimento alla politica dell’Unione Europea e ai problemi che ostacolano una rispettosa e solidale relazione col mondo arabo e islamico; l’urgenza di cambiare la politica degli stati Europei nei confronti di Israele perché è inaccettabile quello che fa; le relazioni Sud-Sud e gli insegnamenti ricavati dall’esperienza di partenariato tra mondo arabo e America Latina; la questione del Medio Oriente di fronte alla duplice prospettiva di Nuovo Medio Oriente o Medio Oriente  arabo-islamico.
– L’anti-imperialismo e la solidarietà tra i popoli nel quadro di un approfondito dibattito sulla natura strutturale o temporanea della crisi del capitalismo e dell’imperialismo (crisi non solo finanziaria ma anche economico, sociale culturale e morale). Si sono dibattute  le  prospettive, le nuove modalità di solidarietà tra i popoli, attraverso meccanismi di condivisione delle conoscenze e dei metodi di sostegno, il futuro dell’altermondialismo e l’esigenza di rompere il blocco di Gaza Se la crisi è globale, anche le alternative devono essere globali attraverso soluzioni diverse rispetto a: natura,  valori, utilizzo della democrazia,  pluralismo culturale e religioso. La posta in gioco è  la sopravvivenza stessa dell’umanità.
– Il seminario giuridico  ha analizzato la questione della denuncia delle  violazioni del diritto internazionale – e dei loro riflessi nella sfera dei diritti individuali e dei popoli –  operate nell’epoca della guerra permanente e preventiva; le prospettive del  Tribunale Permanente dei Popoli e del Tribunale Internazionale dei Cittadini per arrivare in tempi rapidi a denunciare al Tribunale di Giustizia dell’Aja i crimini commessi contro Gaza- Palestina,  Libano e Iraq; e ha ripercorso la storia della risoluzione dell’Assemblea dell’ONU n. 3379 del 1975 che  equiparava il Sionismo al razzismo, ma che è stata successivamente  revocata nel 1991 per pressione di USA e Israele con un’altra risoluzione dal testo telegrafico. E’ stato anche analizzato sotto un profilo giuridico il concetto di “genocidio” (atto volontario finalizzato a sterminare certe comunità, o gruppi etnici) dimostrando che quello che conta è soprattutto la finalità di sterminio  e non solo il numero delle vittime che determina la definizione di genocidio. Si è dibattuto anche il termine “terrorismo”, riprendendo la stessa definizione che ne diedero gli israeliani: ammazzare la popolazione civile per terrorizzarla con fini politici. Definizione che assume il significato di una autoaccusa, mentre paradossalmente la  famosa lista delle Associazioni terroriste stilata dagli USA include addirittura associazioni civili (di medici, architetti, avvocati ) che operano nel sociale. E’ stata sottolineata l’urgenza di  intraprendere una campagna internazionale per eliminare Hamas dalla lista delle associazioni terroriste.  Si è dibattuto anche delle strategie percorribili per stimolare una riforma democratica delle Nazioni Unite:eliminazione del diritto di veto e pieni poteri all’Assemblea Generale in materia di pace e guerra. Gli Usa , ad esempio, hanno usato 82 volte il diritto di veto per proteggere Israele e mentre recentemente il 7  dicembre 2008 il presidente dell’Assemblea dell’ONU Miguel d’Escoto Brockmann ha assimilato le pratiche di Israele a quelle dell’Apartheid e ha invitato al boicottaggio.
– Le esperienze mediatiche di fronte alle aggressioni dell’imperialismo. Si è evidenziato il ruolo negativo dell’informazione nel creare il consenso e l’indifferenza collettiva rispetto ai crimini contro l’umanità, attraverso l’uso di specifiche tecniche mediatiche: strumentalizzazione del virtuale, uso dei tempi e dei palinsesti, accurata scelta del linguaggio. Propaganda mediatica filo sionista che ostacola la solidarietà con la resistenza dei popoli oppressi a partire da quello palestinese. Ma sono stati evidenziati anche gli esempi positivi collegati alle reti informative alternative da potenziare, affinché si conoscano anche le azioni di protesta dei popoli che solidarizzano con le resistenze. Ad esempio in USA molti si oppongono a Israele, ma pochi lo sanno.
In particolare su Gaza tutti i partecipanti hanno espresso il loro corale sostegno alla Resistenza del popolo palestinese, condannando il terrorismo di stato  di Israele, nonché i crimini e le violazioni delle norme internazionali  che si susseguono dal 1948, di fronte all’assenza o alla complicità stessa dell’ONU.
Nel DOCUMENTO FINALE sono state chieste sanzioni contro Israele, la rottura delle relazioni diplomatiche sull’esempio del Venezuela e della Bolivia. In particolare è stato chiesto dai palestinesi,  dai libanesi che hanno subito l’aggressione del 2006 da parte di Israele e dagli Iracheni che stanno resistendo contro l’occupazione americana, che il Tribunale Internazionale dell’Aja giudichi i crimini contro l’umanità commessi contro i loro popoli. Il Libano si è offerto come Stato accusatore, in quanto a Beirut c’è il Centro Arabo di Documentazione sui crimini commessi contro Libano, Iraq e Palestina. Si è chiesto, inoltre, che venga  previsto l’indennizzo economico ed ecologico per le distruzioni commesse da israeliani e americani. La resistenza si fa anche attraverso la lotta contro il cosiddetto Diritto Internazionale neoliberale. Occorre lanciare una campagna internazionale per la ricostruzione di Gaza e la liberazione dei detenuti politici,  e una Campagna per l’applicazione del consiglio consultivo del Tribunale di Giustizia Internazionale contro il muro di separazione razziale in Palestina.
Molte sono state le testimonianze di rappresentanti di Hamas che governa a Gaza e degli Hezbollah al governo in Libano. L’impressione che si è avuta è che le due organizzazioni siano ben radicate nella società, benvolute dal popolo e con una volontà manifesta di risolvere la questione palestinese attraverso il dialogo, sempre che lo stato di  Israele esca dai territori occupati, consenta il transito delle derrate alimentari e dei medicinali per Gaza, accetti  il ritorno dei profughi e discuta sullo status della città di Gerusalemme.
I dati forniti dalle  organizzazioni umanitarie sono allarmanti. Il massacro di Gaza chiede giustizia: sono state usate  nei centri abitati armi proibite come le bombe al fosforo bianco e nuove armi come le bombe Dime, si sono distrutti luoghi di culto come le moschee, si sono bombardate le scuole dell’ONU e gli ospedali e le stesse ambulanze della Mezzaluna Rossa. Dell’attuale numero dei morti dichiarati dall’ONU (oltre 1300) circa la metà sono bambini  e degli oltre 5000 feriti, quasi il 40% sono bambini. Occorre quindi una tempestiva  manifestazione concreta di solidarietà internazionale. A questo fine ricordiamo  che è attivo il Conto Corrente Bancario di raccolta fondi per i Bambini di Gaza che è stato promosso dal CIEP (Comitato Internazionale Educazione per la Pace) e annesso in allegato. E’ importante organizzare centri di solidarietà incontri e manifestazioni per mantenere viva l’attenzione sulla drammatica situazione di Gaza e della Palestina, facendo così diventare questa lotta, la lotta internazionalista per un popolo martoriato.
Il DOCUMENTO FINALE afferma inoltre:
– Il diritto inalienabile alla resistenza sostenuto da tutta la Comunità internazionale e in stretta connessione con le lotte delle classi lavoratrici in tutto il mondo. In modo particolare si cita la resistenza palestinese, libanese e irachena.
– Sostegno all’autodeterminazione del popolo afgano e alla sua lotta contro l’occupazione americana e atlantica.
– Si richiede la rimozione del blocco su Cuba e la liberazione dei prigionieri cubani detenuti illegalmente nelle carceri Usa.
– Rifiutare le minacce e provocazioni Usa nei confronti dell’Iran che ha il diritto a sviluppare il suo programma nucleare civile nel quadro delle norme internazionali; rifiutare ugualmente le minacce guerriere nei confronti di Siria e Sudan.
– Appello per una rete mediatica internazionale per smascherare le false propagande  che riguardano la natura e i crimini perpetrati da Israele.
– Appello per una lega internazionale di parlamentari per difendere i diritti dei popoli alla resistenza e all’autodeterminazione.
– Fondare una rete internazionale in vista di un coordinamento tra rappresentanti locali,  attiva nel momento delle crisi e delle guerre.
–    Il diritto alla differenziazione culturale e alla libertà di culto.
– Il diritto al funzionamento democratico esercitato sul piano politico ed economico che deve riguardare sia gli uomini che le donne.
– Il diritto dei popoli alla sovranità sulle loro risorse naturali, il diritto all’alimentazione, alla salute e all’istruzione che prevalgono su ogni finalità mercantilista.
– Escludere l’agricoltura e i settori legati all’alimentazione dai negoziati internazionali per liberalizzare il mercato (GATT, OMC).
– Rifiutare gli accordi che mettono a rischio le biodiversità.
– Realizzare un Mercato Comune Mediterraneo, che non includa Israele, nell’attesa della soluzione del problema della Palestina (in opposizione al progetto neoliberale di Sarkozy).
– Sviluppo dell’agricoltura organica e utilizzo delle energie rinnovabili.
– Contrastare i tentativi americani di svuotare la legislazione internazionale e umanitaria del suo contenuto, col pretesto della guerra anti-terrorista.
– Riattivazione della risoluzione dell’ONU 3379 del 1975 che assimila sionismo e razzismo ed espulsione di Israele dall’ONU.

VISITA AI CAMPI PROFUGHI PALESTINESI DI SABRA E SHATILA

Impossibile essere a Beirut e non visitare i campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila. Il Forum iniziava alla 15 e noi dovevamo trovare una soluzione proprio in quella prima mattinata di permanenza. Alcuni contatti telefonici e via si parte con un pulmino. Siamo in 6 italiani. In quella grigia mattina Beirut manifesta tutti i segni di una capitale araba molto occidentale,  con le tracce profonde della devastante guerra civile durata ben 17 anni (1975-1992) e dell’ultima aggressione israeliana del 2006. Ci sono ancora i segni della famosa “linea verde” che divideva la città in una zona orientale cristiana e in una occidentale musulmana. Altre linee vennero poi tracciate nel resto del paese, suddiviso in diverse aree di confine controllate dai vari gruppi religiosi. Soprattutto colpisce la vista nel centro della città, dei carri armati piazzati in vari punti strategici e pronti all’intervento.
Il nostro pensiero è subito volato a Stefano Chiarini che si è battuto perché fosse edificato un luogo della memoria  del massacro subito dai palestinesi. E infatti quello è  il primo luogo che abbiamo chiesto di visitare, accompagnati da Samira Khaury, Presidente della WILPF Libano (Lega Internazionale Donne per la Pace e la Libertà),  e da una operatrice sociale palestinese. Dentro un grande mercato permanente di ortaggi, alimentari, vestiti e altro abbiamo oltrepassato una grande cancellata con la  scritta “MASSACRO DI SABRA E SHATILA 1982”.  Sul prato verde,  campeggia unicamente una semplice  grande corona di fiori, sullo sfondo di un imponente tabellone centrale con le foto del massacro e  altri grandi cartelloni  disposti a semicerchio che ricordano altri massacri del 2006. Il luogo ha una sacralità tutta speciale, e sicuramente ci viene il desiderio di riuscire a camminare quasi volando, quando ci ricordano che sotto quel prato ci sono molti  corpi delle vittime massacrate a sangue freddo nelle loro case a colpi di pugnale e  pistole in prevalenza donne e bambini. Due terrificanti giornate scandite da stupri e omicidi. Più di 2000 i  palestinesi  massacrati dai falangisti libanesi, sotto la guida del generale israeliano Ariel Sharon, successivamente capo dello stato di Israele. Qualche foto  per mostrare al nostro ritorno, ma che certamente non rendono la sensazione di macabra tragedia premeditata che abbiamo sentito vibrare in tutto il nostro essere.
Attraversiamo il mercato e uno stuolo di militari coi fucili spianati stanno dirigendosi in un luogo di rissa, fanno decisamente impressione, ma si tratta di un pattugliamento di routine che sembra impressionare solo noi. Vicoli stretti con fili di luce pendenti, muri fatiscenti, detriti di case bombardate si susseguono  su entrambi i lati. Di lì la gente accede alle proprie case ed è facile immaginare le condizioni abitative. Cumuli di immondizia lungo il nostro percorso e vicino incuranti tanti bambini che comunque giocano e cercano cibo.
Ci inseriamo anche noi nei vicoli stretti e ci dicono che ormai siamo entrati in Shatila, ma in quel continuum di miseria e abbandono non c’e nulla che ce lo possa far capire. Lungo i muri numerosi sono i manifesti con i volti di Chavez che inneggiano alla sua politica e pure quelli con il volto di Saddam Hussein che testimonia quanto per loro sia  stato un simbolo della resistenza anti-imperialista e della lotta in favore del popolo palestinese.
Siamo arrivati in un altro luogo della memoria (questa volta una grande stanza a piano terra con foto e tante lapidi). Scattiamo altre foto vicino alla lapide con l’elenco degli eroi e dei martiri. Ma improvvisamente entra un signore con una attitudine che poco promettente. E’ il responsabile del campo di Shatila  che  animatamente protesta e redarguisce le nostre guide, perché la visita al campo è fatta senza permesso, e lui è il responsabile della nostra incolumità. Il diverbio si svolge con modalità veramente sorprendenti. Il signore ha in mano un piatto di profumate fave bollite con fettine di limone e Samira,  seppur impegnata nel diverbio,  si serve e ci invita a servirci come pure fa il  signore stesso  mentre ci redarguisce. Alla fine tutto si risolve e anche il piatto di fave è quasi finito. La sincerità della nostra solidarietà al popolo palestinese aveva avuto il sopravvento sulle ragioni burocratiche. E i calorosi abbracci di congedo, tra shukran(grazie) e inshaallah  (se Dio vuole) ne sono un’ulteriore conferma.
Siamo diretti a un centro per giovani . L’orario è finito ma le bambine e i bambini felici, appena ci vedono decidono di offrirci una breve performance di canzoni. Ci guardano con i loro grandi occhi neri che riescono a sorridere e a testimoniare voglia di vivere e di avere progetti. Ci domandano da dove veniamo, chi siamo,   se siamo per Hezbollah e poi ci chiedono di rimanere in contatto scrivendo alla  loro e-mail.  E’ grande il loro orgoglio nell’indicarci l’edificio attiguo alla scuola:  “Il centro ONU per la salute”. E’ difficile separasi dalla loro voglia di comunicare che sentiamo anche nostra. Ma certamente ci lasciano il messaggio più toccante del nostro percorso: lottare per il loro diritto a una vita come popolo e come bambini.
L’altra tappa è la visita ad alcune famiglie. Attraverso l’intricato dedalo dei vicoletti ci troviamo di fronte a un fatiscente palazzo verde di 9 piani da cui esce un flusso continuo di acqua. Prima di essere bombardato era  un ospedale. Ora è riadattato ad usi abitativi. Saliamo le scale nel buio assoluto, sentendo il bagnato sotto i nostri piedi e cercando di farci luce con i cellulari. Arrivati al 7° piano siamo accolti da una famiglia molto ospitale che ci fa accomodare. Toccante è l’orgoglio della madre che appena seduti ci dà il suo benvenuto mostrandoci   la foto del figlio appena  diplomato. Subito entra un’altra signora che vedendoci così numerosi ci invita a salire nel suo appartamento  più grande.  Anche le condizioni economiche sono migliori: mobilia, computer e un grande quadro con tutti i novanta nomi di Allah. La sua casa funziona anche da scuola di ricamo  per conservare le tradizionali tecniche palestinesi: il ricavato della vendita di questi preziosi lavori artigianali finanzia una scuola di bambini. Mentre gustiamo lo squisito  caffè arabo al cardamomo,  ci invitano a salire sulla terrazza per vedere dall’alto i due quartieri di Sabra e Shatila. Nell’ampio pianerottolo passiamo davanti alle abitazioni di altre famiglie (le porte sempre aperte), mentre i bambini giocano a piedi nudi sul pavimento costantemente bagnato per le perdite di acqua. Dall’alto si sa le cose cambiano, ma la vista dal 9° piano ci svela una distesa infinita di case. Ci spiegano che solo un grande striscione giallo  indica la  separazione tra i due quartieri. Il sole tornato a risplendere e l’altezza mitigano l’immagine di profonda miseria e degrado, ma l’estensione di quei quartieri ci avvicina alla profondità del dramma di questo martoriato popolo a cui da più di 40 anni è impedita una dimensione umana di vita.
Scendendo le  rampe di scale ci immaginiamo la quotidianità di quello scendere e salire di donne,  bambini e uomini sempre al buio, tra uno scolo continuo di acqua. Una realtà comunque non delle più drammatiche, visto che l’acqua c’è in quella zona, grazie al pozzo che  l’operatrice sociale ci mostra all’uscita dell’ex-ospedale e che assicura l’acqua a 400 famiglie. E’lei che è riuscita a farlo costruire.
Manca un’ora all’inizio  del Forum Internazionale. Occorre affrettarci. Ci ritroviamo a passare attraverso il vivace mercato ed ecco vediamo un uomo con una grande scatola di plastica trasparente in mano che a ripetizione chiede contributi ai passanti. Tutti noi immaginiamo che sia per Hezbollah che sappiamo essere tanto attivo sul territorio. Vogliamo accertarci e domandiamo. No,  la raccolta di fondi è per Hamas. Tante mani si avvicinano e danno il loro contributo: donne, uomini e sempre tanti bambini attorno che con i loro immensi e meravigliosi occhi pieni di domande guardano e continuano a vivere la loro non vita, sperando in un futuro migliore.
 
CAMPAGNA “S.O.S. Palestina
” Raccolta Nazionale di Fondi per i bambini e le bambine di Gaza”, iniziativa promossa dal CIEP- Comitato Internazionale Educazione per la Pace.

Davanti alla follia aggressiva di Israele nei territori di Gaza dove muoiono ingiustamente esseri umani, la cui unica colpa è quella di essere palestinesi, condannati da decenni a vivere in condizioni disumane e a non avere uno Stato, così come voluto dal proprio popolo e dalla comunità internazionale, le nostre coscienze si ribellano e danno vita alla Campagna Nazionale “S.O.S. Palestina” per sensibilizzare i cittadini italiani  e promuovere una raccolta  di fondi per i bambini e  le bambine di Gaza.
Nonostante gli appelli dei movimenti contro la guerra, l’intervento  dell’esercito israeliano è avvenuto come da tempo pianificato. L’aggressione militare  si sta trasformando in un vero e proprio genocidio della popolazione di Gaza, e come sempre il prezzo più alto è  pagato dai bambini e dalle bambine che  muoiono a causa dei bombardamenti o impazziscono per  il terrore.
Al tal fine istituiamo un Comitato di Garanti il cui compito è quello di promuovere la raccolta dei fondi (conto corrente postale, banchetti, cene di solidarietà, incontri, ecc.) e di gestire la fase operativa per l’invio degli stessi a idonee strutture umanitarie presenti nei territori di Gaza.

Comitato dei Garanti

Angelo Baracca, Prof di fisica nucleare, Università di Firenze, Maria Jose Caldes Pinilla, Medico, Osservatorio Italiano sulla Salute Globale, Paola Canarutto, Internista , Ospedale San Giovanni Bosco  di Torino, Hilarion Capucci, Arcivescovo Emerito di Gerusalemme in esilio, Sergio Cararo, Forum Palestina, Massimo De Santi, Fisico, Pres. Comitato Internazionale di Educazione per la Pace, Manlio Dinucci, Giornalista e Geografo , Ada Donno, Pres. Donne del Mediterraneo, Sezione Italiana, Elzir Ezzidin, Responsabile Culturale Comunità Palestinese di Toscana, Giorgio Forti, Prof. Emerito alla Facoltà di Scienze, Università di Milano, Mariano Mingarelli, Associazione di Amicizia Italo-Palestinese, Giorgio Parisi, Prof di fisica, UniRoma1, Roberto Passini, Avvocato, Comitato Difesa Costituzione, Antonia Sani, Pres. Wilpf Italia, Lega Internazionale Donne per la Pace e la Libertà.

Con l’appoggio di Alex Zanotelli

I CONTRIBUTI SI INVIANO SUL CONTO BANCARIO
DELL’ASSOCIAZIONE DI AMICIZIA ITALO-PALESTINESE ONLUS

CAUSALE: “EMERGENZA BAMBINI GAZA”

CONTO CORRENTE BANCARIO
MONTE DEI PASCHI DI SIENA AGENZIA  N.3 FIRENZE

CODICE IBAN :  IT65X0103002803000001807989

I CONTRIBUTI  SONO DETRAIBILI DALLA DICHIARAZIONE DEI REDDITI

Per informazioni o contatti: Massimo De Santi, e-mail:maxcosmico@alice.it , Cell. 338.1337573
Mariano Mingarelli, e-mail: mariano.mingarelli@tiscali.it, Cell. 340.5090916