Livorno capitale portuale del Mediterraneo: Le sfide, le opportunità, il futuro per il lavoro e lo sviluppo.

 

  • Vladimiro Mannocci *
    – Relazione al Convegno “Operazione Rinascita” –

 

(Download del doc. integrale)

 

 

5 ottobre2In nome della Federazione livornese di Rifondazione Comunista ringrazio tutti i rappresentanti delle forze politiche, ai rappresentanti sindacali, ai capigruppo del Comune di Livorno, ai lavoratori del settore portuale nelle sue varie articolazioni. Questa “due giorni” ha un carattere programmatico che abbiamo pensato come contributo a realizzare una proposta di governo alternativo della nostra città, rispetto agli indirizzi, politici e amministrativi che, senza soluzione di continuità, sono stati realizzate negli ultimi due decenni. Un obiettivo ambizioso quello di Rifondazione Comunista: operare per creare una rinascita di Livorno che, al netto della crisi, sta vivendo la fase più bassa della sua storia, almeno dal dopoguerra ad oggi. Certo, viviamo in un contesto di crisi generalizzata che ha colpito l’economia mondiale e che vede in Italia da circa un trentennio di politiche economiche, sbagliate, in assenza di una politica industriale con la quale porre le basi per far nascere e crescere attività e produzioni innovative, in condizioni di rispondere alle sfide della globalizzazione attraverso l’innalzamento della qualità dei processi e dei prodotti. Purtroppo in questi decenni abbiamo assistito ad una privatizzazione selvaggia di quasi tutti gli assets dello Stato, battendo in negativo un primato europeo. In altre realtà non è cosi per le banche, per l’industria delle comunicazioni ecc. all’interno di questo quadra vi sono anche scelte diverse. Io faccio sempre l’esempio della differenza fra la posta tedesca e quella italiana. In Germania le poste sono diventate il primo operatore logistico di quel paese, in Italia abbiamo puntato ad una finanziarizzazione delle attività, trasformando le poste prevalentemente in sportelli bancari.
In Italia in questi decenni si radicata, in modo trasversale, almeno nella maggiore forza politica del centrosinistra (il PD) l’illusione che il livello di competitività del paese passasse da una politica di riduzione dei diritti dei lavoratori, di demolizione welfare, di precarizzazione strutturata. Insomma ci sono forti similitudini fra l’assenza di una politica industriale e l’assenza di una politica dei trasporti e della mobilità e quindi dei porti.
Anche per questo stretto legame che si ripercuote nei livelli locali in termini di programmazione territoriale, abbiamo deciso di fare questa iniziativa, organizzata dal Gruppo Consiliare del Comune di Livorno di Rifondazione Comunista, che vede coinvolti come interlocutori sia soggetti istituzionali, partiti e soggetti sociali “tradizionali”, sia movimenti e aggregazioni di cittadini che sono attivi nella società livornese, organizzati al di fuori dalle tradizionali forme partito.
La nostra non vuole essere un’iniziativa di propaganda preelettorale, anche perché a Livorno questo terreno è inflazionato e sarebbe inutile. Rileviamo con estremo dispiacere l’assenza del Sindaco o di un rappresentante della Giunta che pure aveva garantito la sua presenza. Ma la nostra non è un’iniziativa con gli “effetti speciali” e speriamo che questa lacuna sia recuperata.
Eh vero, noi non abbiamo effetti speciali, ma siamo determinati nella nostra convinzione di aver prodotto su questo tema un lavoro organico e serio, grazie anche alle nostre alle iniziative di alto livello di contenuti che abbiamo realizzato con esperti del settore, alle nostre strutture, in primis grazie al contributo del Circolo “PORTO”, al contributo dei lavoratori con i quali ci siamo spesso confrontati per cercare di comprendere il contesto e le dinamiche in corso nel settore dello shipping e portuale internazionale e nazionale per analizzare le ricadute che esistono a livello locale.
Non “passerelle” o “liste della spesa” ma il tentativo di aggiornare un’analisi su quello che sta accadendo in questo complesso sistema.
Certo, non è possibile parlare di porti senza segnalare alcuni elementi politici che a vario livello condizionano lo shipping e la portualità in genere e a caduta anche le singole realtà portuali.
A livello “macro” è da rilevare come in questa crisi che attanaglia il mondo, vi sia, da una parte un’incapacità dei vecchi paesi industrializzati ed in particolare dell’Europa di attuare una svolta di politica economica, avviando indirizzi di rilancio dei consumi e dei mercati interni, dall’altra la totale inadeguatezza delle istituzioni internazionali a porre regole e freni agli eccessi speculativi dei mercati finanziari, che nonostante abbiano prodotto la crisi generale che stiamo vivendo, continuano ad imperversare “come prima, più di prima”.

Un altro elemento che intendiamo sottolineare è l’assenza di un governo sovrannazionale dell’economia marittima e l’assenza di una politica antitrust, quanto mai necessaria, per evitare i massicci processi di concentramento ai quali stiamo assistendo impotenti, che sono ampiamente sottovalutati da ogni valutazione politica sia da aree e soggetti politici di matrice conservatrice e “neoliberista“, sia da aree e soggetti politici che dovrebbero avere a cuore, non diciamo la realizzazione di una società socialista, ma quanto meno un assetto di mercato libero ma regolato e non autoregolante. I dati che evidenzieremo sono peraltro già noti, quindi nessuna novità, ma generalmente rimangono fuori dalle discussioni politiche, limitandone il raggio visuale e di azione ad aspetti accessori e complementari.
Concentrazione: I dati della concentrazione nel trasporto marittimo fanno tremare i polsi, ponendo con forza problemi di democrazia e indipendenza.
Le prime tre Compagnie di navigazione al Mondo (Mearsk, MSC, CMA-CGM) detengono il 40% dei traffici, mentre nel settore terminalistico il 40% dei terminals è detenuto da 10 grandi operatori.
Se consideriamo che alcuni di questi grandi terminals sono controllati o partecipati da quegli stessi armatori ci rendiamo conto della dimensione e dei rischi di questo fenomeno e, senza un suo, controllo quali possono essere le conseguenze per le economie di intere regioni geografiche, se per problemi economici e finanziari questi grandi soggetti decidessero di fare alcune scelte tariffarie piuttosto che organizzative che li marginalizzassero.
Pensate ben 35 Paesi costieri del Mondo sono serviti esclusivamente dai “Tre Grandi”.
Gli altri fattori che vogliamo analizzare, per comprendere la dimensione degli interventi di programmazione nella realizzazione delle infrastrutture nei porti, è il fenomeno dell’eccesso di stiva, che, come risultato delle politiche dei “liners” si salda con quello della concentrazione, producendo come effetto un forte ribasso dei noli applicato per riempire più slot possibili.
Nel 2010, nel pieno della crisi esplosa nel 2008, si è registrato il picco di consegna di nuove navi nell’arco di 36 anni. Abbiamo, nei prossimi anni, un “ order book”, nel comparto delle portacontainer, per complessivi 2,6 milioni di tonnellate che si aggiungeranno agli attuali 19,7 milioni di capacità esistente. Si tratta di un incremento del 16%. Le strategie dei tre grandi sembrano prevedere un rallentamento nelle nuove costruzioni, mentre le seconde linee ( Evergreen, Yang Ming ecc) prevedono una politica più massiccia che nuovi ordini.
L’altro fenomeno con cui fare i conti è certamente quello del gigantismo navale. La “taglia” media delle navi in cantiere è di 8300 teu.
Al completamento dell’attuale order book le navi fra i 10.000 ed i 18.000 teu rappresenteranno il 5% della flotta mondiale ma esprimeranno un potenziale di stiva pari al 20% del totale disponibile. Si tratta quindi di un dato rilevante proprio perché accentuerà il dato della concentrazione. Sul piano generale, la “taglia” media delle navi full container, passerà dagli attuali 3389 teu ai 3691. Le navi più grandi avranno una lunghezza di circa 400 mt ed un pescaggio di 15,5/16 mt. Allo stato attuale non potranno passare il canale di Panama né scalare i porti dell’East Coast.
I porti che non saranno in grado di accogliere le navi da 18.000 non chiuderanno ma certamente, per stare degnamente sul mercato, almeno per i porti gateway del Mediterraneo, sarà indispensabile avere infrastrutture in grado di accogliere ed operare almeno le navi da 8000 teu. Noto che il nostro porto avrebbe già oggi la possibilità di servire tali vettori, a condizione di aver risolto l’annoso problema dei fondali, non in termini parziali ma definitivi, di aver allargato il Canale di Accesso alla Darsena Toscana, con a catena la soluzione dei problemi operativi che ne derivano ( blocco notturno delle entrate e delle uscite ecc). Purtroppo fino ad oggi abbiamo, non senza difficoltà potuto accogliere navi da 5.500 teu.
La maggior parte degli analisti e istituti specializzati ritengono che l’eccesso di offerta di stiva andrà avanti almeno per cinque anni ancora. Eccesso di offerta e caduta di domanda generano noli in forte ribasso. Un esempio: all’inizio dell’anno il nolo per teu, FAR EAST- EUROPA era quotato 1400 usd mentre oggi è quotato attorno ai 700 usd .
La risposta dei “tre grandi” a questa situazione è quella di formare un’alleanza ( cartello), denominata P 3, allo scopo di mantenere i noli ad un livello remunerativo. Dal 2014, Maersk, MSC e CMA-CGM metteranno in comune 29 linee e 255 navi. Lo scopo dichiarato è quello di una maggiore regolarità nelle toccate, meno cancellazioni e più toccate dirette.
Il mercato passa dunque da una guerra feroce per la supremazia, alla quale abbiamo assistito nei mesi e negli anni scorsi, ad una pace di necessità.
Tale manovra non sembra però fare i conti con il paese che genera la maggiore domanda internazionale di trasporto marittimo: la Cina. Il gigante asiatico annuncia misure di protezione del proprio shipping.
I programmi intensivi di nuove costruzioni della marineria cinese deve essere vista come strategia di difesa degli interessi cinesi nello shipping. Stessa cosa sta avvenendo, ad esempio, in contrasto con il Brasile, per il trasporto di minerale.

Scenari internazionali

Per tentare di affrontare in modo ottimale i dilemmi che affliggono i nostri porti, occorre azzardare l’individuazione di alcuni fattori o tendenze di fondo nello scenario internazionale, nei quali sono inseriti i traffici marittimi ed i porti. Ci sembra che le principali questioni siano le seguenti:

-La geografia dei traffici mondiali sembra stabilmente cambiata. Questo significa il definitivo consolidamento del declino dell’Europa e degli Stati Uniti come motore dei traffici internazionali. Se analizziamo il valore degli scambi originati dai paesi sviluppati ci accorgiamo che nel quinquennio 1995-2010 si è passati dal 69% del totale al 55%. Per i paesi emergenti si è passati dal 29% al 41%. A titolo esemplificativo, nel periodo considerato l’export africano è passato da 100 miliardi di USD a 560 miliardi di USD. La stessa analisi, riferita ai volumi, porta gli emergenti dal 43%, al 50%.

-Le rotte SUD-SUD sono cresciute in media del 13,7% all’anno e quelle SUD-NORD del 9,5% su una media mondiale dell’8,7%. Almeno il 50% del traffico generato dal Sud Est asiatico ( area ASEAN ) è traffico “ regionale”. Vale a dire che l’influenza sulla dinamica mondiale dei traffici generata dal “ motore “ asiatico, si ripercuote sulle rotte internazionali soltanto per la metà del suo potenziale.

-Crisi dell’Eurozona. La crisi del debito sovrano dei paesi del Sud Europa e non solo, nonché la perdurante incapacità di innescare processi di crescita economica rendono in generale l’Europa, compresa la Germania, un’area del mondo in perdurante sofferenza. La debolezza della domanda interna e la competizione internazionale fra le diverse aree del mondo non fa prevedere, almeno nel breve periodo una ripresa consistente dei traffici marittimi.

Ipotesi per il traffico container

Certo, nessuno di noi ha doti di preveggenza per dare responsi profetici Ciò che si può ragionevolmente affermare è che il ventennio d’oro del trasporto container fra gli anni ’90 e la prima metà dei 2000, almeno fino al 2007, appare decisamente alle spalle. Se ci sarà la crescita avrà, verosimilmente, ritmi più lenti. L’eccesso di stiva ci accompagnerà ancora a lungo, forse per i prossimi 5 anni. Se facciamo riferimento alle previsioni elaborate dall’istituto di analisi Drewry Consultant, che non può essere annoverato fra i sostenitori della “ decrescita felice”, il tasso di crescita medio del traffico container, nel mondo sarà del 7,5 %. In questo contesto USA ed Europa sono considerati mercati “ maturi” e quindi vuol dire che cresceranno a ritmi inferiori al tasso medio mondiale. Molto interessante è la proiezione dell’agenzia di analisi sulla saturazione dei terminal portuali, con proiezione 2010 -2016, secondo questa elaborazione tabella, i numeri nelle colonne indicano la percentuale di utilizzo della dotazione in essere o prevista secondo i piani di infrastrutturazione descritti nella tabella del doc scaricabile.

La tabella riflette, ovviamente le analisi di crescita delle diverse aree del mondo, in continuità con le consolidate tendenze che abbiamo poc’anzi evidenziato. Per l’Europa è previsto un minor fabbisogno infrastrutturale in virtù della minore crescita attesa. Significativo il dato dell’India ( South Asia ) ove sono previsti importanti ampliamenti della capacità che non si prevede possano essere assorbiti dall’aumento di traffico, tanto che il tasso di saturazione scende di ben 15 punti.
Potremmo continuare nell’analisi prendendo in considerazione altri fattori significativi come l’incidenza del costo del carburante, la spinta verso i protezionismi, la situazione del mondo arabo, la speculazione finanziaria sulle materie prime, ma per problemi di tempo ci fermiamo qui per tirare alcune considerazioni conclusive e per riflettere quali possano essere le ripercussioni per li sistema portuale italiano e in particolare per il nostro scalo.

·In virtù del novo assetto economico e produttivo si sono modificati stabilmente i flussi del Trasporto Marittimo mondiale.
·In questo contesto, quanto meno sul settore dei Contenitori, il Mediterraneo affievolisce la sua centralità.
·E’ in atto un processo di concentrazione del mercato dove ci saranno sempre meno soggetti che controllano gran parte del trasporto marittimo che del terminalismo mondiale. Per ridurre forti perdite subite in questi anni si è aperta una fase di attacco ai costi portuali con lo scopo di incidere in particolare sul lavoro portuale (autoproduzione) e sui servizi tecnico nautici come l’ormeggio, il rimorchio, il pilotaggio, sulle diverse tasse e diritti portuali, in particolare sulle tasse di ancoraggio che incidono direttamente sulla nave, che nei porti di tutto il mondo compongono una parte rilevante delle risorse delle Autorità Portuali. N.B. Naturalmente questa tendenza riguarda anche altri settori del trasporto marittimo come quello dei ro-ro. Ricordiamoci le richieste fatte dai maggiori armatori italiani di questo settore al Governo Monti (deregolamentazione assoluta) e a Livorno la forte pressione per svolgere autoproduzione da parte di vettori come Grimaldi.
·La sovraccapacità di stiva ha prodotto una guerra tariffaria ma anche una politica ch privilegia la costruzione e l’utilizzo di navi sempre più grandi. I porti che non possono ospitare navi da 10/18 mila teu non sono destinati a chiedere, ma per rimanere nel circuito primario dovranno poter ospitare navi da 8.000 teu.
·Per il futuro sono previsti per l’Europa tassi di crescita inferiori alla media mondiale, quindi i volumi di contenitori movimentati non esploderanno per oltre il prossimo decennio.

Ho evidenziato questi fattori che possono sembrare distanti dai problemi del nostro porto, ma come vedremo non lo sono, per evidenziare che specie in una fase di crisi la programmazione economica e territoriale diventa una leva essenziale per poter definire e realizzare alcune priorità, per tentare di fare le scelte di buon senso, per non affrontare i problemi quando diventano emergenze. In questi anni a Livorno, in particolare da parte dei rappresentanti del maggiore partito della nostra città, si è spesso reagito alla parola programmazione come ad un fattore ostativo allo sviluppo, una tendenza retrò, un’inutile una perdita di tempo rispetto ai problemi incombenti che andavano affrontati e risolti nell’immediato: si ritorna alla differenza che esiste fra gestire e governare!
Corsa alla grande infrastrutturazione o soluzione dell’”ultimo miglio”?
Il problema presente anche nel nostro porto è: in una fase attuazione di importanti atti di programmazione come il PRP e definizione del nuovo Piano Strutturale della città, apriamo una corsa alla realizzazione di grandi opere per non perdere la partita del gigantismo, correndo il rischio della sovraccapacità dell’offerta portuale, oppure puntiamo su sulla soluzione dei problemi dell’”ultimo miglio” passando da una visione “quantitativa” ad una visione “qualitativa” delle infrastrutture materiali e immateriali e dei processi organizzativi del porto, del loro rapporto con il territorio ed il mercato di riferimento guardando ad una prospettiva dell’allargamento di un suo raggio di influenza Noi propendiamo per la seconda corrente di pensiero, ma poiché il mujahidismo rischia di portare a chiuderci in una stretta, dovremo affidarci al buon senso, senza precludere, quando sono necessarie, anche la realizzazione di grandi opere.
Il quadro nazionale in cui versa questo settore è desolante! Ci sarebbe da fare un cospicuo elenco, mi limito a segnalare che l’assenza della politica che ha caratterizzato le attività dei vari Governi che si sono succeduti ( compresi i governi di Centro Sinistra) ha prodotto una progressiva e costante perdita di competitività del sistema portuale e logistico italiano. In questi anni abbiamo assistito ad un progressivo azzeramento dei diversi Fondi nazionali che avrebbero dovuti servire per dare ossigeno ai porti, in una fase dove si sta giocando una battaglia di competizione con altri sistemi portuali. L’autonomia finanziaria delle Autorità Portuali è ancora un miraggio. Lo stanziamento di 70 milioni annui per tutti i porti italiani non sono sufficienti a questi Enti per svolgere in modo efficace le proprie funzioni.
Oggi, alla luce delle scarse della drastica riduzione lineare della spesa pubblica, alle politiche attuate in questo ventennio che ha profondamente peggiorato il sistema di welfare con la creazione di masse di precari e in prospettiva pensionati poveri, all’assenza di scelte politiche anticicliche in condizione di promuovere politiche di sviluppo, al basso livello di saturazione delle infrastrutture esistenti è necessario agire in modo deciso più sui nodi immateriali. Occorre incentivare la realizzazione dei Port Community System, lo sportello unico doganale, lo sportello unico delle informazioni marittime, tutte le buone pratiche di amministrazione digitale che possono consentire un reale balzo in avanti della qualità organizzativa della nostra portualità. L’innovazione è un fattore fondamentale della competitività e può fare recuperare nell’immediato, velocizzando controlli e pratiche amministrative, molti traffici ai nostri porti.
A proposito di programmazione vogliamo ricordare che sempre a livello nazionale non siamo in condizione di creare una cabina di regia che definisca delle priorità e valuti dove indirizzare le poche risorse disponibili. Per far comprendere il fenomeno della scarsità di programmazione e visione sistemica faccio sempre un esempio: in Italia i progetti presentati dalle varie Autorità Portuali di scali gateway (esclusi gli Hub Port ), se realizzati, produrrebbero al 2025 un’offerta portuale di 32 milioni di teu., mentre le stime più ottimistiche di agenzie specializzate e uffici studi di grandi terminalisti, prevedono per lo stesso periodo che in Italia si possa movimentare circa 12 milioni di teu. Nel 2012 in Italia sono stati movimentati 5.732.000 teu. Questi dati danno il segno non solo di una visione ed un assetto ancora “puntuale”, ma di un’approssimazione programmatica che affligge l’intero sistema. Livorno con la mega Piattaforma Europa rientra perfettamente in questa logica.
Fra i tanti problemi da risolvere spicca quello del trasporto ferroviario che deve essere assunto come priorità strategica a partire dai porti. In questi anni il trasporto ferroviario ha subito un crollo. In Italia non abbiamo un problema di rete. L’Alta Velocità ha certamente rappresentato un passo in avanti che però deve essere supportato dal rilancio del trasporto merci ferroviario, senza il quale ogni riferimento ogni riferimento alla competizione con l’Europa non ha prospettive. Trenitalia ha ormai puntato la sua attività sul trasporto persone lasciando il trasporto merci in un progressivo abbandono, pur avendo una supremazia rispetto ai pochi soggetti privati che si sono affacciati in questo settore. A questo punto è preferibile concludere il processo di liberalizzazione, anche attraverso una nuova legislazione che aiuti ed incentivi imprese di trasporto merci e logistica ad entrare in questo nuovo mercato.

Riflessioni sul Porto di Livorno

In uno studio realizzato dal CNEL nel 2006, sul livello di competitività dei porti italiani, lo scalo labronico risultava essere quello con maggiori potenzialità di crescita e d di sviluppo a livello nazionale. Dopo 7 anni dalla redazione di quello studio possiamo purtroppo affermare che le potenzialità si sono fortemente ridotte. Niente catastrofismi! Ma oggi, sono i dati a parlare, il nostro porto rischia di entrare nella zona grigia del declino, con tutte le ricadute conseguenti su piano economico, sociale e culturale dell’area. In una sede come questa non possiamo tralasciare i motivi di questa particolare criticità che affligge il nostro porto e se vogliamo fare un’analisi seria dobbiamo anche avere il coraggio di fare affermazioni “scomode”con l’intento di fare un’analisi critica dove si individuino non solo responsabilità politiche ma proposte, indirizzi e traccianti strategici. Il primo elemento riguarda le proposte da dare al cambiamento in atto che abbiamo cercato di mettere a fuoco.
Purtroppo quest’ultimo decennio di governo del porto è stato caratterizzato da un’assenza programmatica e progettuale che ha sempre più ridotto i livelli di competitività e di efficienza del porto. Ciò che è stato causato nasce dall’illusione che la crisi avesse caratteri congiunturali invece che strutturali, dall’altra la tendenza ormai consolidata a livelli politici ed amministrativi, di privilegiare la sfera della gestione rispetto a quella del governo. Sul piano politico Livorno non riesce più ad esprimere idee che valorizzino la propria peculiarità attraverso processi di innovazione. Questi fattori dimostrano l’inadeguatezza del gruppo dirigente, complessivamente inteso, ad esprimere alcune idee guida e individuare dei driver strategici in condizione di alzare l’asticella, realizzando elementi di discontinuità con le scelte politiche sin qui adottate che hanno portato la nostra area ad un progressivo processo di deindustrializzazione, segnando un declino non solo economico e sociale ma anche politico e culturale della Città. La politica di riduzione della spesa pubblica condiziona le attività degli Enti Locali e nel nostro caso anche quella dell’Autorità Portuale.
Dei limiti infrastrutturali ne abbiamo già parlato a josa in questi anni e in questi mesi: i fondali, le difficoltà di navigabilità presenti nella “Bocca Sud” per le grandi navi, l’effetto dello Scolmatore dell’Arno che altera i fondali della Darsena Toscana di 50 cm l’anno e il problema delle porte vinciane, la necessità di allargare il Canale di Accesso alla Darsena Toscana con il relativo problema dell’abbattimento dei tubi ENI, la necessità di un’adeguata dotazione strutturale e infrastrutturale ferroviaria, non sono emergenze sorte nell’ultimo periodo. Da molti anni questi problemi sono stati sui tavoli istituzionali senza trovare soluzione. In questi anni, anche sul piano funzionale si sono spesso fatte scelte che contraddicevano e contrastavano gli stessi indirizzi di programmazione adottati (P.O.T.).

·Mentre si sanciva il concetto del “porto dei porti” e quindi la specializzazione funzionare delle aree e banchine per attività merceologiche, si è andati frammentando le attività di RO-RO incentivando guerre fra poveri e spostamenti di traffici da una banchina all’altra, innescando forme di concorrenza patologiche basate su forme di “price competition”.
·Non ci sono stati per lungo tempo elementi ostativi, né di ordine economico né di ordine amministrativo a poter realizzare la seconda vasca di colmata in tempi anticipati rispetto quelli attualmente previsti. Eppure questa infrastruttura è indispensabile adeguate quantità di volumi (Bocca Sud: necessità 400 mila mc di fanghi, ma ora ripiego su escavi per 100 mila mc. per indisponibilità di riversamento).
·Abbattimento tubi ENI x allargamento del Canale di Accesso. 10 milioni di € tolti dal capitolo di stesa A.P. per cofinanziamento con ENI dell’opera. Apertura di un contenzioso vinto dopo 4 anni da ENI riappostamento di un finanziamento per cofinanziare progetto per la realizzazione dei tubi ENI. 4 anni persi!

·Interporto. Oggi si sta costruendo un percorso che vedrà rafforzata la presenza dell’Autorità Portuale nell’assetto proprietario dell’Interporto di Guasticce per legare le funzioni del porto con un’infrastruttura che è da considerare porto. Una dozzina di anni fa l’Autorità Portuale di Livorno propose di rafforzare questa funzione con l’acquisizione di 600 mila mq dell’Interporto. Purtroppo, pur avendo avuto l’assenso del Governo ( Berlusconi) con una disponibilità ad un
finanziamento di 100 miliardi di lire, vi fu un’indisponibilità a realizzare quell’operazione, in particolare da parte della Regione Toscana, perché una Regione con un governo di Centrosinistra non poteva avere “aiuti” da un Governo di Centrodestra.
Potremmo continuare con la lista delle occasioni perdute, dei ritardi programmatici e progettuali che pure al fine di una valutazione politica hanno un peso. Ma non vogliamo cadere nell’errore di dare giudizi soggettivi su Tizio piuttosto che Caio in quanto, come abbiamo detto, i limiti politici sono il frutto di un gruppo dirigente che ormai non riesce a leggere i cambiamenti ma li registra, che non è in condizione azzardare un minimo di analisi di previsione ma che è appiattito sul quotidiano.
Noi siamo aperti a confrontarsi con tutte le forze politiche del centrosinistra, consapevoli del ruolo e del peso che a Livorno detiene il PD. Constatiamo che al di la delle schermaglie congressuali e generazionali, non siano emersi nel maggior partito della città elementi programmatici di prospettiva tali da far percepire una discontinuità con gli indirizzi e i meccanismi fino ad oggi adottati dalle Amministrazioni locali.
PRP/Zonizzazione

Livorno ha la fortuna di aver mantenuto una sua vocazione multi proposta, che lo fa essere uno degli scali più importanti d’Italia. Infatti, nonostante la drastica riduzione delle merci movimentate, dovuto agli effetti della crisi, il nostro scalo può vantare il mantenimento di alcuni storici primati o posizioni di rilievo. Nel settore dei contenitori rimaniamo il terzo porto gateway nazionale ( dati 2012 ), nei ro-ro il primo scalo nazionale, nelle auto nuove il primo scalo nazionale, nei prodotti forestali siamo il primo porto del Mediterraneo, nelle crociere siamo stati il quarto porto nazionale.
La discussione aperta sul Piano Regolatore Portuale e sulla zonizzazione si sono purtroppo sovrapposte, dando spazio ad un dibattito basato quasi meccanicamente sulle variazioni di destinazioni d’uso delle varie aree del porto.
La discussione che è avvenuta in sede istituzionale, in particolare in Consiglio Comunale e nelle rispettive Commissioni competenti, si è incentrata più che altro sul problema Crociere/Prodotti Forestali e la futura destinazione d’uso della Calata Alto Fondale, sull’utilizzo degli accosti 46 e 47, sulla cd privatizzazione della Porto di Livorno 2000 ecc. Spesso si teso a dividere fra buoni e cattivi, fra ostacolatori del rinnovamento e viceversa, dove ovviamente la CPL è stata descritta come l’ostacolo al rinnovamento, il soggetto che incarnava la difesa della cd “rendita di posizione” Anche in questi giorni autorevoli esponenti del PD, valutano l’avvenuto accordo fra CILP e Porto di Livorno 2000, come frutto di un ravvedimento da parte della prima. Niente di più sbagliato! Su questo tema la fantasia ha regnato sovrana, basta pensare all’atto adottato dall’Autorità Portuale dove, contra egeo, si era inventata la “concessione ad intermittenza” che nella fattispecie riguardava la calata Alti Fondali, poi demolita, come era facilmente prevedibile, da una sentenza del TAR Toscana.
Il dibattito avviato sul PRP si è basata più su suggestioni che non su basi analitiche che rilevassero le “pesature“ delle varie attività merceologiche e del loro valore aggiunto in termini di creazione di ricchezza, stabilità dei posti di lavoro, di ritorno economico per il porto e per la Città.
Rifondazione Comunista parte da un punto fondamentale, una priorità strategica che spesso in questa discussione si è annebbiata: Il porto di Livorno deve mantenere, consolidare e rafforzare la sua funzione commerciale, in coerenza con gli indirizzi del Piano Strategico Regionale e con le relazioni che questo nodo logistico ha con le attività industriali livornesi e regionali. Certo, come abbiamo più volte affermato, in una logica di “cluster del mare “ sarebbe sbagliato non curare e sviluppare anche gli altri settori a partire da quello crocieristico, passeggeri, nautica da diporto ecc. Ma ciò non deve avvenire a detrimento delle prime.
Ma torniamo a ragionare di politica, cioè la grande assente attorno a questa realtà, che non si è nemmeno posta il problema di leggere i processi e la mutazione degli assetti intervenuti nel nostro scalo e le loro ripercussioni sul piano economico, sociale e funzionale. La vicenda Sintermar/F.lli Elia ha segnato un’involuzione funzionale. Per la prima volta abbiamo avuto nel porto la presenza di un grande fondo finananziario (Fondo Clessidra), il cui obiettivo non è certo quello di dare priorità alle attività “industriali”, ma appunto di creare finanza attraverso soggetti imprenditoriali. Un altro fondo finanziario internazionale ha rilevato la Neri spa, e l’impresa terminalista da essa controllata.
Nel primo caso nel nostro porto è nata una nuova/vecchia figura: l’intermediatore di traffici ha preso il posto del terminalista, anche grazie all’ingarbugliata ed illegittima situazione che si è venuta a creare nelle banchine 14 E, 14 G e relative aree di pertinenza.
La politica ha solo registrato questi eventi derubricandoli a meri aspetti commerciali, senza comprendere che hanno prodotto uno spostamento di ricchezza e reddito dal porto ad altri soggetti, riversando sulla sfera del lavoro una guerra fatta di ribassi tariffari, incidendo negativamente sui lavoratori, sulle loro condizioni economiche, normative e di sicurezza nei luoghi di lavoro.

Il lavoro come risorsa

Il lavoro, quindi, visto non come risorsa ma come ammortizzatore su cui scaricare la crisi. Per noi il lavoro portuale e la sua qualità è la cartina di tornasole per misurare i livelli e le caratteristiche imprenditoriali, il loro dimensionamento e la qualità dei servizi da essi espressa. Per questo il tema del lavoro non può essere visto solo come un problema sociale ma come il perno su cui costruire uno sviluppo qualitativo del nostro porto. Noi siamo un partito politico e quindi vogliamo coprire questa area senza cadere nell’errore di fare altri mestieri, mi riferisco in particolare al Sindacato. Ma è proprio sul piano politico che il tema del lavoro diventa anche un elemento programmatico e non ideologico, senza risolvere il quale si aprirebbe una spirale pericolosa e dannosa per la tenuta economica e sociale del porto. Al di la dei processi di riorganizzazione necessari per affrontare gli effetti sociali della crisi dobbiamo invertire la tendenza anche attraverso l’attuazione di nuovi strumenti che incentivino l’utilizzo della formazione professionale, diventando anch’essi elementi di valutazione per i rinnovi delle autorizzazioni e delle concessioni.

Il ruolo dell’autogestione

Per noi di Rifondazione Comunista il ruolo dell’autogestione nel porto va salvaguardata e rafforzata. Anche questa nostra posizione, non è un orpello ideologico, ma consapevoli della necessità di rinnovare e adeguare questa forma imprenditoriale, superando i limiti dell’egualitarismo che oggi sono anacronistici e dannosi pensiamo che il protagonismo dei lavoratori nelle scelte di fondo sia uno dei valori da salvaguardare, così come il carattere intergenerazionale insito in questa forma imprenditoriale che fa essere questi soggetti più attenti ai problemi di prospettiva e di sviluppo che non alla logica del “mordi e fuggi” quale idea guida di alcuni imprenditori cosiddetti “privati”. Il rinnovamento passa anche da una nuova cultura e una diversa consapevolezza di come concepire il ruolo di socio con quello di lavoratore, di come far incidere i soci nelle scelte strategiche, di come rendere consapevoli i soci lavoratori dei profondi processi politici ed economici che incidono sulle attività portuali, nei processi organizzativi del porto e dell’azienda fina di ricostruire un senso di appartenenza che negli anni è andato via via scemando. Su questo terreno occorre un lavoro costante e pervicace da parte dei gruppi dirigenti. Se per Unicoop Servizi esiste un problema di diminuzione delle giornate di lavoro anche per effetto di quella guerra di tariffe al ribasso e di allargamento di maglie delle regole, per la Compagnia Portuale il problema è più articolato, sia per il ruolo imprenditoriale che essa svolge attraverso il suo braccio imprenditoriale (CILP) sia per la sua presenza in altre società strategiche per il porto. Noi speriamo che la forte sofferenza finanziaria della Compagnia sia superata in tempi rapidi, anche attraverso la vendita di beni patrimoniali non pienamente strategici a quelli che sono i bisogni attuali. In questi ultimi anni si è aperta una “querelle” sulla necessità che il salvataggio della Compagnia dovesse avvenire attraverso la vendita della CILP a tre noti imprenditori portuali, il tutto sostenuto dalla necessità di rafforzare la presenza imprenditoriale livornese nel porto. Obiettivo condivisibile sul quale si deve lavorare. In quel caso però la proposta avanzata dagli imprenditori livornesi non aveva alcuna base industriale ma era la mera richiesta di smembrare l’impresa della Compagnia (CILP) lasciando a quest’ultima una funzione del tutto residuale, con certezza di apertura di problemi sociali per gli stessi lavoratori della CPL che sarebbero dovuti salire su una “zattera alla deriva” con molte incognite per le loro prospettive di lavoro. Se l’analisi sui fattori macro è vera, e se quindi le compagnie di navigazione tenteranno un “assalto alla diligenza” sarà inevitabile che anche i terminalisti portuali rafforzino le proprie strategie, anche attraverso forme di collaborazione sempre più stringente fino anche a creazione di nuovi soggetti o il superamento degli attuali soggetti. Tutto questo però deve avvenire sulla base di progetti industriali credibili, dove sia chiara la prospettiva di sviluppo del porto o di un suo settore, ma dal quale sia evidente anche un superiore interesse generale.
Meno male che i lavoratori portuali nelle assemblee, anche difficili e tese, hanno compreso la posta in gioco e rinviato al mittente queste proposte e le pressioni politiche e istituzionali che sono state fatte affinché questa operazione di basso profilo strategico per il porto andasse in porto.
Tornando al Piano Regolatore vorremmo fare alcune considerazioni dato che a breve il Consiglio Comunale dovrà discutere ed approvare la variante anticipatrice del Piano Strutturale.

Il settore crocieristico

Dopo la nascita della Porto di Livorno 2000, costituita ai sensi del comma 1, punto C, art. 6, L. 84/’94, al fine di svolgere servizi generali per le attività dei passeggeri e crocieristiche, nel porto sono progressivamente cresciuti sia i traffici passeggeri attraverso vettori Fast Ferries e Super Fast Ferries, sia quelli crocieristici. Mentre gli effetti della crisi hanno inciso negativamente per i traffici per il primo comparto, registrando un calo notevole di unità, passando dalle 2.553.214 unità del 2009 a 1.714.038 unità del 2012, per le crociere il trend è stato in crescita fino al 2012 dove si è registrato il record di presenze di 1.037.843. I motivi del tonfo subito in questo settore nell’anno in corso non sono certo da attribuire ad un generalizzato calo a livello nazionale, visto che le stime danno un incremento di circa il 5% rispetto al 2012.
In mancanza di un lay out dedicato, le crociere si sono sviluppate a Livorno grazie alla disponibilità dei terminalisti che hanno ospitato le navi cruise, di cui nel tempo sono cresciute le dimensioni, che non potevano essere ospitate nelle banchine in dotazione alla Porto di Livorno 2000. In una visione di complementarietà riteniamo giusto che si definisca un’area e delle banchine che siano dedicate a questa attività al fine di migliorarne i servizi offrendo un’offerta qualificata, di creare di nuovi come ad esempio l’approvvigionamento e rifornimento di bordo ( vedi il progetto Cambusa della CPL).
Anche per questo settore che sembra non risentire della crisi, vi sono elementi che fanno pensare ad un prossimo rallentamento della crescita, quanto meno nel Mediterraneo. L’instabilità de Paesi del Nord Africa e della regione mediorientale sembrano incidere sulle scelte delle Compagnie di Navigazione, alcune delle quali hanno già tolto alcune navi dal “mare nostrum”. A livello generale evidenziamo anche il rallentamento dei piani di costruzione di nuove navi cruise nel mondo.
Abbiamo più volte evidenziato come dal Piano Regolatore Portuale emerga un eccesso di aree dedicate a questa attività, e la previsione di costruzioni di strutture eccessive ed inutili come mega Stazioni Marittime, parcheggi sotterranei (tombamento della Darsena Firenze) e all’aperto, quest’ultimi ricavati dalla compressione di aree dedicate ai traffici commerciali, causando per queste (in modo particolare per cellulosa e carta “fluff”) un oggettivo abbattimento dei fattori di competitività del nostro scalo, dovuto alla difficoltà di creare capannoni a “ciglio banchina”, nella nuova localizzazione nel Molo Italia, come in uso nei porti più avanzati al mondo, dove vengono gestiti i prodotti forestali. Inoltre, a regime, si verrà a creare una condizione davvero singolare per cui le banchine con profondi fondali e le aree retrostanti saranno per molti mesi dell’anno solo rifugio per i gabbiani.
Ci chiediamo se per mantenere un equilibrio che non penalizzi le funzioni del porto e le sue attività più redditizie e ad alto contenuto di manodopera contrattualizzata e stabile, non sia più
opportuno dedicare alle crociere, a regime, le banchine 75 e 76, adeguando i fondali, che andrebbero a sommarsi alle banchine 46 e 47, Calata Orlando (resecata), Calata Carrara resecata e il resto delle banchine ed aree già oggi in dotazione alla Porto di Livorno 2000.
Seguendo la logica insita nell’attuale Piano Regolatore Portuale si darà priorità alle attività più povere con conseguenze che incideranno negativamente sulle prospettive di sviluppo del nostro scalo e della nostra città. Aspettiamo di valutare la variante anticipatrice che completerà il P.R.P.
Senza ironia: ma questa può essere definita programmazione?

Darsena Europa

Se sono giuste le analisi che abbiamo cercato di fare nella parte iniziale della relazione, avremo come effetto delle attività per contenitori, un utilizzo sempre maggiore di navi di taglia XXL. Abbiamo detto che per rimanere nel circuito dei porti gateway occorre poter operare come minimo navi da 8000 teu, cosa che avremmo potuto già fare con l’allargamento del Canale di accesso alla Darsena Toscana e l’scavo della “Bocca Sud” del porto. L’altro dato che emerge è che una volta superata la crisi, avremo specie in Europa e tanto più in Italia, una crescita inferiore a quella che abbiamo avuto nell’ultimo trentennio, perché è ormai finito quello che il Prof. Sergio Bologna chiama il “super cycle”. Si calcola che in Italia li livello di saturazione delle infrastrutture portali non raggiunga oggi il 60%. Abbiamo anche detto che seppure diventi una priorità ottimizzare i fattori dell’”ultimo miglio” e privilegiare lo sviluppo di infrastrutture immateriali, vi possa essere, come nel nostro caso, la necessità di realizzare nuove infrastrutture materiali. In questo caso condividiamo che si vada anche verso uno sviluppo a mare, ma non scordiamoci della connessione terrestre e del collegamento con realtà come l’interporto Amerigo Vespucci, l’autoparco del Faldo ecc. La Piattaforma Europa indicata dal Piano Regolatore Portuale è però una mega infrastruttura plurifunzionale dal costo stimato di 1,2 miliardi di€. E’ previsto che la parte riguardante il settore dei contenitori, una volta terminata, possa creare un’offerta di 3 milioni di teu, quantità che a Livorno, anche ottimizzata l’infrastruttura ferroviaria e fondali, sono volumi tali la cui tendenza al raggiungimento è prevedibile in date più vicine al 20100 che non nelarco di un ventennio. Un’idea davvero suggestiva, potremo cavarcela, come spesso ci viene detto per eludere questo le nostre obiezioni, affermando: “Ma tanto è una cosa che riguarderà i nostri nipoti”.
Purtroppo non è cosi. Sappiamo che nei porti la possibilità di intervenire con lo strumento del Project Financing, quanto meno per le grandi opere, è una balla colossale. Nelle esperienze fino ad oggi attivate in Italia il Project lo fanno i privati e il Financing ce lo mette il pubblico. Ci siamo forse scordati di come è finito il progetto di investimenti di 5 miliardi che Unicredit sembrava volesse fare nel Porto di Trieste, applaudito anche da molti maggiorenti del PD? E’ finito in una bolla d’aria perche le “garanzie” doveva mettercele il pubblico. Oppure l’esperienza di Savona con Mearsk (la 1° Compagnia di navigazione al Mondo) dove per costruire un terminal container, ovviamente gestito da Mearsk, su 350 milioni di €, più dei 2/3 ce li ha messi il pubblico e il resto il privato, tanto che l’UE ha aperto uno specifico controllo perché per verificare che non ci sia stato un aiuto di Stato ad un’impresa? Noi vorremmo essere volentieri sconfessati, ma nutriamo dubbi che si possa trovare un finanziatore privato per investire nella Piattaforma Europa per il semplice fatto che i tempi di saturazione e quindi di redditività saranno lunghissimi e chi investe vuole guadagnare presto, non fra 80-90 anni. Quindi tanto più sarà sovradimensionato il progetto tanto più sarà difficile la sua realizzazione sia con risorse pubbliche, sia cercando di attivare lo strumento del P.F.
Chiudo questa mia esposizione sperando di avere dato alcuni spunti utili ad un’attività programmatica in condizione di uscire dai localismi e dalle “liste dalla spesa” che di solito si fanno su questi problemi, affrontati spesso in modo contingente e senza un’analisi di prospettiva. Grazie!

* Vladimiro Mannocci – Resp. Dip. Economia e Lavoro PRC Livorno