- Doc del Comitato Politico Federale *
Per le dimensioni che ha avuto la sconfitta subita in queste ultime elezioni non si può limitare la nostra indagine solo sulle questioni riguardanti la vicenda di “Rivoluzione Civile”.
I risultati hanno dimostrato:
Un enorme distacco del gruppo dirigente del Partito dalla propria base: un gruppo dirigente autoreferenziale eletto secondo gli equilibri dettati dalle aree, calati poi dall’alto senza discussione approfondita e quindi senza una sostanziale legittimità politica dei compagni di base. Una pratica questa che non ha favorito lo sviluppo ed il rinnovamento del gruppo dirigente attraverso una giusta selezione dei quadri secondo il principio delle capacità dimostrate nel lavoro svolto e dall’attaccamento delle regole interne della vita del partito.
I risultati hanno anche dimostrato come nei territori, nei luoghi di lavoro, si siano bruciati (certo, nel corso degli anni) quelle radici, quei legami che ci permettevano una presenza politica tale da far comprendere alla popolazione che “Rifondazione Comunista c’era”. E’ crollato un sistema organizzativo che bene o male teneva in piedi le nostre iniziative nel territorio e senza il quale sarà difficile un’eventuale ripresa del Partito.
Nel documento approvato dal CPN si afferma, ringraziando i compagni e le compagne impegnati nella campagna elettorale, che “Rifondazione Comunista, rimane una risorsa imprescindibile per la sinistra e la democrazia in Italia, un patrimonio umano e politico, il cui valore, nessuna soglia di sbarramento antidemocratica può cancellare”. No. I risultati di queste elezioni sono tali da compromettere seriamente la sopravvivenza del partito nell’arena politica del paese e con esso molto probabilmente anche la scomparsa della questione comunista in Italia.
Sorge una domanda: Perché dopo oltre 20 anni dallo scioglimento del PCI, Rifondazione Comunista che aveva dimostrato di essere, già allora, un partito di un certo peso politico, di avere una buona presenza in Parlamento, nelle istituzioni, di una organizzazione abbastanza capillare, da coprire tutto il territorio nazionale, si è ridotta ad una larva di Partito? Il dibattito in corso – speriamo esteso e approfondito ci farà comprendere meglio i perché e le ragioni della sconfitta e le soluzioni per una ripresa del Partito.
In questo contesto molti sono gli interrogativi, i possibili dubbi e gli errori compiuti, dopo venti anni di vita del partito. E ci domandiamo: non è che sotto il prevalere di un giudizio tutto negativo sul novecento (secolo di errori e orrori e conseguentemente di condanna totale del socialismo) spinti dalla necessità di trovare nuove strategie di cambiamento della società di fatto ci siamo allontanati dai principi fondamentali della nostra cultura marxista, abbandonando i quali il partito cambia pelle e diventa un’altra cosa?
Non è che nella nostra ansia di rinnovamento abbiamo buttato via tutto (acqua sporca e bambino) abbiamo cancellato una nostra memoria del passato, non tutta da condannare; tagliato radici che potevano ancora fruttare, rimanendo senza una bussola che poteva aiutarci a decidere il nostro futuro?
La condanna contro la corruzione, la mala politica contro tutti i partiti ha certamente colpito anche noi. L’elettorale non ha fatto distinzioni: noi come tutti gli altri . E a nostro avviso non poteva che essere così, stante il fatto che proprio sulla strada della ricerca di una nuova strategia di cambiamento anticapitalista abbiamo fallito. Non siamo stati capaci cioè, di presentarci davanti ai cittadini come il partito del cambiamento per una nuova società più giusta e onesta. Così abbiamo finito col pensare che l’unica via di uscita sia stata quella di accodarsi, di aderire a qualche movimento sociale, in voga in quel momento, o indicare come modello da imitare certi successi ottenuti da coalizioni di sinistra in altri paesi. Ma – secondo noi -, l’adesione a coalizioni politiche di sinistra o movimenti sociali, sia pure necessarie, possono avere elementi di continuità se abbiamo una strategia chiara, ben definita che possa portare un contributo di forza, di rafforzamento alla coalizione politica di cui facciamo parte.
E allora ci domandiamo, ma il nostro partito è un partito che ha ancora davanti a sé la trasformazione della società entro l’orizzonte del comunismo, all’interno del quale elabora obiettivi generali strategici, obiettivi intermedi, obiettivi immediati in continuo collegamento con le lotte dei lavoratori, le iniziative dei movimenti sociali che generano fiducia e speranza? A noi sembra di essere diventati un “partito né pesce, né carne”. Un partito senza un’identità precisa.
A questo proposito “ la centralità del lavoro”, non può rimanere solo uno “slogan”, della nostra politica. Per noi la centralità del lavoro deve partire dal riconoscimento di una società divisa in classi, entro la quale è in atto un durissimo scontro di classe che mira a togliere ai lavoratori tutti i diritti acquisiti e renderli alla completa mercé del padrone. Uno scontro che ha grande valenza politica e non solo economica perché se la democrazia verrà sconfitta nei luoghi di lavoro, prima o poi verrà sconfitta anche nel paese. E allora non si può più far finta di niente e trascurare così come abbiamo fatto il nostro rapporto con i lavoratori, come se ormai fossero diventati un ceto sociale emarginato, senza nessun peso politico nella società.
Al contrario noi crediamo ancora alla forza politica che i lavoratori rappresentano come classe e se uniti e coscienti di questa loro forza possono costruire non solo un argine alle politiche neoliberiste messe in atto in Italia, ma essere promotori attivi della trasformazione anticapitalistica della società.
Forse ci siamo dimenticati che i comunisti sono nati anche per dare ai lavoratori coscienza di questo loro ruolo. I lavoratori possono risolvere i loro problemi solo se il loro peso politico, con le loro organizzazioni politiche e sindacali è tale da influire decisamente sulle decisioni che si prendono nel paese:
Certo, nel mondo del lavoro, tutto è cambiato compreso il modello produttivo capitalistico, e sono cambiati anche i rapporti di forza a sfavore dei lavoratori. Ma è altrettanto vero che noi abbiamo fatto ben poco per renderci più chiara la situazione e aggiornare la nostra cultura, le nostre teorie, i nostri principi, la nostra strategia. Sia ben chiaro, noi non vogliamo un partito “operaista”, ma quando si sente dire che anche i lavoratori seguono le idee del padronato non è questo il segno della sconfitta della nostra battaglia culturale e ideologica che il partito dovrebbe condurre? La coscienza di classe non nasce spontanea nei luoghi di lavoro. E’ il partito che deve lavorare in questa direzione. Ebbene – ci domandiamo -, è sbagliata superata questa nostra concezione del rapporto che dobbiamo avere con i lavoratori? E’ vetero continuare a pensarla così? Non è emblematico il fatto che non ci siamo nemmeno più posti l’obiettivo di organizzare il partito nei luoghi di lavoro?
Come è noto il paese attraversa una profonda crisi sistemica per uscire dalla quale ha bisogno di grandi riforme strutturali, nel settore dei trasporti, del territorio, dell’agricoltura, ecc. Ha bisogno – detto in parole povere -, di una riconversione di tutto il modello produttivo ed energetico, salvaguardandone la sostenibilità in termini ambientali e sociali. Ha bisogno di uno sviluppo economico programmato, un diverso ruolo dello stato nell’economia. E’ su questi temi che dobbiamo concentrare la nostra strategia, il nostro progetto di trasformazione della società, ed essere pronti a confrontarci con tutti: movimenti sociali e partiti.
Le conclusioni del Congresso di Chianciano suscitarono nel partito un certo entusiasmo, un certo riavvicinamento di compagni. Purtroppo dobbiamo constatare che sostanzialmente non è cambiato nulla. Le idee della politica bertinottiana hanno continuato ad avere cittadinanza all’interno del partito. Esso ha continuato ad essere un comitato elettorale (sempre più debole), la democrazia interna inesistente, è continuata inarrestabile una emorragia di consensi e degli iscritti. Il gruppo dirigente del partito si è sempre più isolato dalla base. Anche qui sorge in noi una domanda: Davvero la forma partito scelta è adeguata alle esigenze della nostra politica? Noi non lo crediamo. Eppure nel movimento operario e soprattutto nel PCI, la forma partito è sempre stato un argomento permanente in discussione. Grande attenzione è sempre stata data all’adeguamento dell’organizzazione del partito agli eventuali cambiamenti della situazione politica e conseguentemente del cambiamento dei nostri progetti, strategie (partito di tipo nuovo di Lenin, l’intellettuale collettivo di Gramsci, il partito nuovo di Togliatti, etc). Ora anche da noi si è disquisito molto su questo (partito organizzato a rete, partito leggero, partito liquido, e chi più ne ha, più ne metta). Ma la verità è che ci siamo ritrovati con un partito con poche migliaia di iscritti e diviso in correnti. Cioè con una forma partito, la più vecchia – e secondo noi – la più dannosa, inefficiente e superata forma di partito esistente.
Un partito comunista se vuole dare veramente un contributo decisivo insieme, certamente ad altre forze politiche anticapitaliste e respingere con successo l’attacco forsennato contro i lavoratori, se vuole rafforzare ed estendere le proprie radici fra il popolo deve essere fortemente organizzato su tutto il territorio nazionale. Se dovessimo dare un giudizio su come abbiamo condotto la campagna del tesseramento e reclutamento al partito, negli ultimi anni, dovremmo proprio concludere quanto poco era l’interesse a rendere il partito una comunità di persone legate a principi di giustizia, solidarietà a riconoscersi in una militanza comunista all’interno del proprio partito che fa della propria diversità rispetto alle altre organizzazioni politiche une delle sue principali caratteristiche positive..
Da questo punto di vista la campagna del tesseramento e reclutamento non può essere un’operazione burocratica di consegna di tessere, ma un’operazione politica nel contesto della battaglia culturale che conduciamo contro il pensiero unico, dominante nel paese.
Migliaia di cittadini che ogni anno confermano la loro adesione ai nostri principi, teoria che oggi di fronte alla crisi del sistema capitalistico evidenziano la loro attualità, ma che sono combattute proprio perché mettono in discussione privilegi e ingiustizie di questa società, è un grande fatto politico, non da trascurare.
Per questo alla luce delle questioni sopracitate occorrono momenti di discussione e di approfondimento per il futuro di Rifondazione comunista che coinvolgano il livello regionale e il livello nazionale. Un confronto politico sul lavoro svolto dalla segreteria regionale quindi una valutazione (per noi negativa), sul proprio operato in base allo stato del partito e del risultato elettorale inoltre una attenta analisi che si ponga l’obbiettivo di un bilancio del nostro ruolo e dei risultati raggiunti, conseguenti al nostro agire politico in questi anni , dentro la giunta regionale. Per quanto concerne il livello nazionale non si può prescindere dalla convocazione di un congresso da tenersi possibilmente entro la fine dell’estate. Congresso che non dovrà assolutamente assumere gli elementi distintivi di un regolamento di conti ma altresì una assise congressuale che si caratterizzi per aspetti fortemente innovativi nella strategia, nella proposta politica nonché nella individuazione di un nuovo gruppo dirigente, da investire di tale ruolo in base alle soggettive e oggettive capacità politiche e non in base alla fedeltà al dirigente o alla corrente politica di riferimento.
Queste nostre considerazioni critiche certamente schematiche e sotto certi aspetti forse anche semplicistiche, basate molto su considerazioni ideologiche che si rifanno alla nostra cultura comunista. Sbagliata? Può darsi, ma pensare ad un partito comunista senza teoria ci sembrerebbe non realistico. Il marxismo non può essere considerato una semplice corrente culturale fra le tante altre.
* Documento politico approvato a maggioranza palese il 23 marzo 2013