- Vladimiro Mannocci
Alfonso Iacono, con il suo articolo al Il Tirreno di Sabato scorso, (19 gennaio, ndr) auspica una riflessione storica sul ruolo avuto dal Partito Comunista italiano dalla sua nascita alla sua scomparsa, avvenuta nel 1991. E’ giusta l’osservazione di Iacono che “per svolgere lo sguardo verso il futuro è necessario aprire la finestra del passato” per poter leggere con capacita critica non solo il presente ma soprattutto le scelte attraverso le quali si costruisce il futuro. Purtroppo i liquidatori del PCI, Veltroni, D’Alema, Fassino, Bersani, Napolitano, Occhetto, ecc. hanno operato in questi anni per cancellare i valori di quella esperienza, da loro ritenuta culturalmente e politicamente imbarazzante. Nella fase nata dalla c.d. svolta della Bolognina vi fu, ad esempio, una vera e propria campagna contro quella “diversità” che Enrico Berlinguer riteneva dovesse essere un tratto distintivo del PCI, ma non lo è stato per il P.D.S., i D.S. ed il P.D. Una operazione ben riuscita, che però ha prodotto anche zone grigie ed elementi degenerativi nel rapporto fra politica e questione morale. Da allora le “svoltine” che si sono succedute sono state improntate sulla parola d’ordine di “andare oltre”. Un indistinto “oltre” che ha aiutato a configurare l’attuale assetto politico nel quale i cambiamenti economici e sociali sono stati solamente registrati dalle maggiori forze politiche e non, invece, letti criticamente. Il P.C.I. ha avuto un ruolo fondamentale nella lotta al fascismo, nella Resistenza, nella definizione della nostra Costituzione, che in questi anni ha subito tentativi di cambiamenti proprio nelle sue parti universali e più qualificanti che la fanno essere, come dice Roberto Benigni, la Costituzione più bella del Mondo. Evitando letture nostalgiche, ritengo opportuno evidenziare il ruolo positivo che il Partito Comunista italiano ha avuto con la cultura e il suo mondo nelle sue varie espressioni, nella formazione di milioni di lavoratori che grazie al PCI hanno potuto esprimere le proprie istanze e raggiungere obiettivi di miglioramento delle proprie condizioni di vita. Anche nella nostra città il Partito Comunista ha prodotto idee e progetti che si sono realizzati grazie ad amministratori tutt’altro che “grigi”. Insomma, senza retorica, nel mese della memoria e nel periodo storico della smemoratezza, possiamo affermare che quella storia è tutt’altro che sepolta e se vogliamo dare risposte ai nuovi e complessi problemi presenti nella nostra società, che sta cambiando molto più rapidamente di trenta o quarant’anni fa, con quella storia e quella cultura politica dobbiamo farci i conti.
Di seguito l’articolo di Alfonso Iacono
(da Il Tirreno – 19 gennaio 2013)
Il mese delle memorie annebbiate
DALLA PRIMA Avrò il tempo di soffermarmi il prossimo sabato su questa spaventosa, indelebile macchia dell’occidente. Il 21 sarà invece l’anniversario della nascita del Partito Comunista Italiano (allora si chiamò Partito Comunista d’Italia). Fu fondato nel 1921 proprio a Livorno, al Teatro S. Marco, là dove ora c’è un asilo. E’ curioso, ma in questo mese della memoria che cade in un’epoca in cui la memoria è sempre più in pericolo, del partito comunista rimane solo quasi l’immagine caricaturale che ne ha dato Berlusconi tutte le volte che qualche magistrato ha indagato sui suoi affari. Lo tacciava di essere comunista e con ciò rendeva implicito un coacervo di sensazioni e di giudizi. Il magistrato di turno sarebbe stato dominato da pregiudizi ideologici contro un baluardo dell’anticomunismo e della libertà quale era e, suppongo, si vanti ancora di essere, il Cavaliere. Dietro la rozza semplicità di tali affermazioni, Berlusconi riusciva a cogliere tuttavia un imbarazzato disagio verso chi comunista lo era stato e forse aveva bisogno di chiudere la porta del passato dimenticando e facendo dimenticare. Fu uno degli effetti del berlusconismo, cioè di un’egemonia culturale che in questi anni disgraziatamente ha pervaso il nostro paese, rafforzando il peggio di quegli aspetti della nostra mentalità e dei nostri costumi, di cui dovremmo vergognarci. Uso il termine egemonia nel senso di uno dei fondatori del Partito comunista, Antonio Gramsci, morto nelle galere fasciste, uno dei massimi pensatori italiani ed europei del Novecento. L’egemonia si manifesta quando le classi subordinate introiettano e assumono la cultura della classe dominante fino a farla propria, assicurando una condivisione di valori e un consenso verso chi domina. L’egemonia esercita una forza sulla memoria e a causa di ciò stiamo dimenticando cosa abbia significato nella storia del nostro paese il Partito comunista. Stiamo dimenticando che l’attuale presidente delle Repubblica, Giorgio Napolitano, fu un alto dirigente del Pci, e dirigenti e militanti del Pci sono stati l’attuale presidente della Regione Toscana, molti sindaci, a cominciare da quelli di Livorno e di Pisa. O forse qualcuno lo ricorda soltanto quando vuole accusare di qualcosa queste persone e mai quando si tratta di fare i conti con una parte così importante della storia italiana e della sua democrazia durante e dopo il fascismo, con una morale e con una politica degne di questo nome. Piuttosto che una discussione o una polemica a volte un po’ sempliciotta sulle generazioni e sulla rottamazione, sarebbe stato e sarebbe auspicabile una riflessione storica del Partito comunista italiano, sul suo ruolo, sulle sue contraddizioni, sui suoi errori, sulla sua fine. Niente rimpianti, niente apologie, niente retorica, ma è assai peggio l’oblìo. Senza interrogarsi sul passato, gli errori si ripeteranno e le cose buone si perderanno. Per volgere lo sguardo verso il futuro, è necessario aprire la finestra del passato. Senza questo necessario esercizio, la politica non avrà né critica né memoria e le promesse di oggi saranno le bugie di domani. Alfonso M. Iacono