Roma, 20 settembre 2012
La recessione provocata dalle politiche di austerità del governo Monti sta continuando ad aggravarsi e con essa la crisi sociale del paese. La perdita di posti di lavoro in Italia è molto al di sopra della media dei paesi europei ed è direttamente legata alle politiche di austerità.
Il governo Monti espressione dei poteri forti con una fortissima connotazione antipopolare e antioperaia, si conferma sempre più come governo costituente di un nuovo regime. Questa caratteristica costituente la si misura sulla portata strategica dei provvedimenti presi: dalla manomissione dell’articolo 18 alla “riforma” delle pensioni al pareggio di bilancio in Costituzione fino all’approvazione del Fiscal Compact. Questi provvedimenti vanno oltre la situazione contingente e predeterminano – se non aboliti – il quadro in cui agiranno i governi dei prossimi anni. Queste misure infatti si sommano a quanto già fatto da Berlusconi – pensiamo solo all’articolo 8 – e determinano un quadro strutturale di recessione economica, precarietà e disoccupazione, privatizzazioni, uniti ad un attacco frontale al welfare, al diritto allo studio e ai diritti dei lavoratori e del sindacalismo di classe. Il governo Monti ha quindi tracciato una strada di destra destinata a perdurare negli anni. Il tratto costituente del governo non è quindi affidato alla permanenza di Monti alla Presidenze del governo anche dopo le elezioni – ipotesi che i potentati finanziari, economici e dell’informazione, propongono esplicitamente – ma ai provvedimenti già assunti e votati da PD, PDL e UDC.
In questo contesto occorre approfondire le ragioni della tenuta del consenso del Presidente del Consiglio. Accanto alla forza data dall’essere un governo di unità nazionale che ha l’appoggio di tutti i media influenti, vogliamo sottolineare che l’egemonia che Monti ha sul paese è data dall’utilizzo del discorso economico come vero e proprio principio ordinatore del discorso pubblico, come ideologia dominante: dall’economia vengono i pericoli e infatti questo governo spaventa il popolo e genera volutamente la paura del disastro. Parallelamente le ricette per affrontare questo disastro incombente vengono presentate come oggettive, una medicina amara ma obbligatoria per evitare la catastrofe: There is no alternative, come diceva la signora Thatcher. L’intreccio tra questi due elementi – la paura e il carattere necessitato delle ricette – taglia ogni discussione e impedisce un confronto nel merito dei provvedimenti: la riforma delle pensioni è necessaria per scongiurare il disastro e così non si discute nemmeno il fatto che le casse dell’INPS sono in attivo.
Questa ideologia dominante utilizza dei modelli retorici assai presenti nel tessuto culturale del paese: “abbiamo vissuto al di sopra dei nostri mezzi, adesso si tratta di fare penitenza, di fare i sacrifici”. Ovviamente il corollario di questo luogo comune è che se i figli sono disoccupati è colpa dei padri e che i padri hanno indebitato i figli, “scaricando sulle spalle delle prossime generazioni l’onere del risanamento”. Oppure ancora, “se c’è la crisi bisognerà fare i sacrifici per uscirne”.
Parallelamente, anche utilizzando la distruzione di ogni credibilità della politica, Monti si presenta come tecnico che si comporta come il buon padre di famiglia che è costretto a riportare il popolo italiano sulla retta via dopo che i partiti hanno fatto – per di ottenere facili consensi – una cattiva politica basata sugli sprechi e sulla spesa facile.
Questo ruolo viene rafforzato dal fatto che le istituzioni dell’UE si muovono nella stessa direzione e quindi forniscono una legittimazione esterna all’azione del governo. Addirittura le sciagurate politiche europee vengono presentate come una mediazione tra i tedeschi – presentati come i cattivi – e Monti che viene dipinto come il paladino serio dei popoli latini.
Il tutto produce una miscela assai potente, una specie di bonapartismo a legittimazione economica, che giustifica tutto a partire dalla gravità della situazione. In questo schema ogni ulteriore peggioramento – anche se prodotto dall’azione del governo – diventa il pretesto per un ulteriore aggravamento delle politiche recessive e di austerità. Questo bonapartismo economico, oltre a produrre recessione e distruzione dei diritti sociali e del welfare, corrode in profondità la democrazia.
Sulla base di queste considerazioni è del tutto evidente che la sconfitta del montismo non può avvenire per puro accumulo di contraddizioni sulle singole misure assunte dal governo. E’ sempre più facile trovare persone in totale dissenso sui singoli provvedimenti del governo che ritengono però complessivamente necessaria l’azione del governo. Non riuscendo a darsi una spiegazione alternativa di cosa sta succedendo e non avendo a disposizione una proposta complessivamente alternativa, il dissenso verso il governo è particulare ma non generale. Così come la sconfitta del montismo non può essere affidato alla vittoria del centro sinistra, che è indisponibile a mettere in discussione le scelte sin qui operate, a partire dall’articolo 18, dal pareggio di bilancio e dall’applicazione del Fiscal Compact.
La sconfitta del montismo – che per le ragioni che abbiamo sopra delineato è un compito che va ben oltre le prossime elezioni – richiede quindi una azione che si collochi al suo livello: occorre decostruire e demistificare l’analisi della crisi e il carattere necessitato delle risposte. Occorre fornire obiettivi percepiti non solo come giusti ma anche praticabili, come un alternativa possibile. Occorre avanzare una proposta compiuta di uscita dalla crisi basata non sul rigore ma sulla redistribuzione: della ricchezza, del lavoro, del potere. La crisi non è infatti frutto di scarsità ma di una cattiva distribuzione di ricchezze, lavoro e potere. Occorre attraversare le lotte a partire da questa chiara prospettiva alternativa e su questa base operare per la loro unificazione non solo sociale ma politica e culturale. Occorre quindi proporre una prospettiva politica di uscita dalla crisi che è oggi economia, sociale, culturale e morale nella consapevolezza che questo significa riportare il paese nella democrazia, cioè rimettendo al centro del dibattito politico la possibilità di scegliere, superando lo stato di eccezione con cui oggi il governo giustifica le sue scelte presentate come obbligate.
In questo contesto deve essere valutato l’accordo raggiunto a livello europeo sull’intervento della BCE. Questo intervento era ritenuto necessario perché la speculazione, lasciata libera, rischiava di portare alla deflagrazione dell’euro e di produrre quindi una nuova pesantissima crisi finanziaria ed economica su scala mondiale. Per questo nemmeno la Merkel ha seguito la proposta estremista del presidente della Bundesbank.
La strada scelta non consiste però in un intervento illimitato della BCE nell’acquisto di titoli di stato, intervento che avrebbe permesso l’azzeramento strutturale della speculazione finanziaria. Questo strada non è stata scelta unicamente perché l’intervento della BCE avrebbe azzerato la speculazione e quindi tolto dalle mani dei governi e dell’Europa la principale minaccia con cui vengono giustificate le politiche di austerità e la demolizione del welfare. Per questo la BCE ha messo a punto un complicato sistema in cui se uno stato è sottoposto ad un attacco speculativo , prima di ottenere l’intervento della BCE deve chiedere l’intervento e firmare un memorandum – come la Grecia – in cui assume ulteriori impegni e sostanzialmente abdica ad ogni sovranità nazionale sulla politica economica. Solo dopo la firma del memorandum è previsto l’intervento illimitato della BCE. Il meccanismo messo in essere permette quindi di mettere l’euro al riparo dal rischio di esplosione e di continuare parallelamente ad utilizzare la speculazione come un vincolo esterno per obbligare i paesi maggiormente indebitati a politiche di austerità. Si tratta di una politica di destra, meno rozza di quella proposta dalla Bundesbank, ma organicamente rivolta contro le conquiste del movimento operaio europeo.
Com’è evidente questo meccanismo funziona nella misura in cui i governi nazionali accettano –alla fine – di piegarsi ai dictat europei. Se uno stato non accettasse la firma del memorandum non sarebbe solo a rischio il suo bilancio ma complessivamente la moneta unica e quindi la BCE sarebbe obbligata ad intervenire ugualmente oppure a mettere a rischio l’euro. Questo è il punto vulnerabile delle politiche europee di stabilità che apre uno spazio all’azione del movimento dei lavoratori e alle sinistre del continente.
Per questo la Direzione Nazionale:
Impegna il partito nella campagna referendaria, che rappresenta la nostra principale azione politica e organizzativa nei prossimi mesi, da ottobre a gennaio. Si tratta di una campagna referendaria importante, che coinvolge il complesso delle forze che si sono opposte da sinistra alle politiche del governo Monti, sia sul piano politico che sociale e che quindi ha un grande valore politico. Inoltre i referendum si svolgeranno nel 2014 e quindi rappresentano un modo concreto per interagire pesantemente con l’azione del prossimo governo. La campagna referendaria si compone di una raccolta di firme unitaria sui diritti dei lavoratori – ripristino dell’articolo 18 ed abolizione dell’articolo 8 – e di una raccolta di firme con un perimetro più stretto di promotori che vede la responsabilità della raccolta di firme ricadere soprattutto sulle nostre spalle. Si tratta dei quesiti per cancellare la riforma delle pensioni, per impedire la svendita del patrimonio pubblico, verificando la possibilità di proporre un ulteriore quesito sul tema della precarietà. La raccolta delle firme per i referendum, che va intrecciata con la campagna per il reddito minimo garantito, rappresenta quindi il punto fondamentale del nostro impegno politico per i prossimi mesi.
Valuta molto positivamente il percorso fatto in Sicilia, che vede la presentazione alle prossime elezioni del 28 ottobre di una coalizione di alternativa e all’interno di questa di una lista unitaria di sinistra che vede coinvolti la Federazione della Sinistra, Sel, i Verdi e varie personalità espressione dei movimenti, dei Comitati e dell’associazionismo siciliano. La candidatura di Claudio Fava a Presidente della regione Sicilia e l’aggregazione di uno schieramento che comprende la sinistra e l’IdV, oltre a rappresentare un positivo segnale di prosecuzione di un percorso cominciato a Napoli e a Palermo, indica la strada anche per quanto riguarda le elezioni politiche nazionali. La Direzione Nazionale esprime quindi il pieno sostegno ai compagni e alle compagne siciliane per l’affermazione della lista di sinistra e di Claudio Fava presidente.
Propone la costruzione di uno schieramento politico che possa diventare uno schieramento elettorale di tutte le forze politiche, sociali e associative che si oppongono da sinistra al governo Monti e impegna quindi tutte le istanze del partito a lavorare per trasformare lo schieramento referendario e lo schieramento elettorale siciliano in un vero e proprio schieramento politico nazionale in vista delle prossime elezioni politiche. La nostra proposta politica che si rivolge in primo luogo a Sel, all’IdV, ad Alba e al complesso delle forze associazionistiche, sociali e culturali disponibili, è finalizzata a costruire un ampio schieramento di alternativa che si ponga l’obiettivo di governare il paese su un programma antitetico a quello imposto da Monti e dalle politiche europee. Si tratta di rovesciare le politiche di austerità e questa prospettiva di radicale cambiamento delle politiche economiche e sociali non è presente nella posizione del PD. E’ quindi necessario costruire per la prossima tornata elettorale, uno schieramento politico ed elettorale alternativo, che avanzi una proposta di governo finalizzata ad uscire dalla politiche neoliberiste a partire dalla non accettazione del Fiscal Compact e delle fondamenta neoliberiste e monetariste dei trattati di Maastricht e Lisbona. Al di la delle modifiche della legge elettorale – che contribuiranno a determinare le forme concrete della nostra presentazione elettorale – avanziamo quindi la proposta di dar vita ad uno schieramento di alternativa per il governo del paese e l’uscita dalle politiche di austerità.
All’interno dello schieramento di alternativa ritiene necessario unire la sinistra. Il nostro obiettivo è la costruzione di un effettivo spazio pubblico della sinistra, che faccia i conti fino in fondo con la critica della politica e sia portatore di una forte critica dell’economia politica. Occorre uscire da ogni politicismo per avviare, all’interno del fronte di opposizione, un processo costituente di una sinistra di alternativa e di una nuova stagione politica basata sulla democrazia partecipata. Questo è l’obiettivo centrale che ci poniamo, che poniamo ai compagni e alle compagne con cui abbiamo costruito la Federazione della Sinistra, che poniamo al complesso delle forze e degli uomini e delle donne che vogliono costruire una sinistra antiliberista nel nostro paese, anche in vista della prossima scadenza elettorale. La costruzione di un processo inclusivo e partecipato, che allarghi il terreno della partecipazione politica unitaria a sinistra, la realizzazione in Italia del progetto della Sinistra Europea, la costruzione in Italia del corrispettivo di Syriza, del Front de Gauche, di Izquierda Unida, della Linke, è l’obiettivo fondante il nostro progetto politico, a cui subordinare ogni tattica politica e su cui lavorare nei prossimi mesi.
Nella consapevolezza delle diverse posizioni che vi sono nell’ambito della Federazione della Sinistra, riteniamo necessario che vengano convocati gli organismi dirigenti nazionali al fine di ricercare una comune posizione politica. Se gli organismi dirigenti non fossero in grado di definire una posizione politica chiara da avanzare unitariamente, proponiamo che si dia luogo ad una consultazione di tutti i compagni e le compagne iscritte alla Federazione in modo da definire in modo unitario, democratico e partecipato il nostro comune orientamento politico.
La Direzione impegna inoltre il partito a:
Produrre una azione di spiegazione e demistificazione delle spiegazioni dominanti della crisi e delle ricette che vengono proposte come oggettive. Occorre fare una azione di massa di critica dell’economia politica, occorre decolonizzare le menti dal pensiero unico dominante.
Impegnarsi nella costruzione del conflitto sociale e nella costruzione di pratiche mutualistiche utili a resistere all’attacco al lavoro e ai diritti sociali. Noi dobbiamo costruire una nuova politica di sinistra basata sull’autorganizzazione dei soggetti sociali su tutti i terreni – sociale, culturale e politico – e su una matura critica delle politiche neoliberiste. A tal fine è decisivo collocare il partito all’interno dei conflitti sociali operando per la loro estensione e per il loro coordinamento.
Continuare nell’impegno per la pace e contro la guerra, per il ritiro delle nostre truppe dall’Afganistan e contro qualsiasi partecipazione dell’Italia in nuovi scenari bellici in medio oriente.
Aprire la discussione nel partito sul testo programmatico discusso in Direzione nazionale.
Aderire e partecipare alle mobilitazioni che contrastano la mercificazione del sapere e la precarizzazione del lavoro nella scuola e nell’università, indette per il 21, 22 e 28 settembre, il 5 e 12 ottobre.
Aderire e partecipare allo sciopero generale del Pubblico Impiego convocato per il 28 settembre con manifestazione nazionale a Roma.
Aderire e partecipare alla manifestazione nazionale convocata per il 27 ottobre contro il governo Monti.
Aderire e partecipare al forum sociale di Firenze dal 9 all’11 novembre.
Organizzare iniziative territoriali nell’ambito della Settimana del Reddito promossa dal Comitato promotore della Legge di iniziativa popolare per il reddito minimo garantito.