Rifondazione al bivio

Intervista a Claudio Grassi (mozione 1) e Gennaro Migliore (mozione 2) sul presente ed il futuro di Rifondazione Comunista.

Partiamo dalle ragioni della sconfitta. In particolare quelle soggettive, quella che un tempo si sarebbe chiamata «autocritica». Quali errori avete commesso?

 

GRASSI: Io credo che la ragione principale della sconfitta stia nei due anni del governo Prodi. Abbiamo deluso le aspettative suscitate durante la campagna elettorale. Il nostro motto era: «Vuoi vedere che l’Italia cambia davvero?  ». E in verità è cambiata, ma in peggio. Così si è creata disillusione e lacerazione col nostro elettorato. L’impianto politico col quale siamo andati al governo, il pensiero che esso fosse permeabile ai movimenti, si è rivelato sbagliato.

 

MIGLIORE: Io credo che la sconfitta sia l’approdo di un percorso più lungo, in cui le ragioni oggettive e soggettive si sovrappongono. Concordo con Grassi quando dice che abbiamo sopravvalutato lacapacità nostra di supplire a un contesto profondamente negativo. Vale l’esempio che ha fatto Bertinotti: il programma di governo era come un manuale di istruzioni, senza però che ci fosse una condivisione strategica. Ma quell’errore di prospettiva è stato commesso in un contesto di forte domanda del Paese di cambiare il governo Berlusconi. Non so se nel 2006 avremmo potuto compiere una scelta diversa da quella dell’Unione. Poi forse abbiamo ecceduto in tatticismo. La relazione con i movimenti è finita sullo sfondo, e il mancato decollo di un progetto unitario chiaro e convincente ha portato la Sinistra arcobaleno a essere travolta nel mezzo del guado. Con un processo unitario più forte e maturo avremmo forse potuto esercitare una pressione più incisiva sull’azione di governo.

 

GRASSI: Sicuramente va fatto un ragionamento di più ampio respiro sulla capacità della sinistra e di Rc di incidere sulla società italiana. E risalire a una sconfitta lontana nel tempo: quella di fine anni 70. Dalla quale, credo, non ci siamo ancora ripresi. Tuttavia in questo caso, in soli due anni abbiamo perso 3 milioni di voti, un fatto eccezionale. Sono d’accordo con Migliore, nel 2006 non potevamo fare altro che tentare di battere Berlusconi. Ma il punto è che noi dicemmo che c’erano le condizioni per produrre dei risultati e non era così. Il secondo errore è che abbiamo tardato a riconoscere il disagio della nostra base. Eppure le amministrative del 2007 e le difficoltà a parlare con gli operai fuori dai cancelli di Mirafiori erano segnali chiari.

 

 

Pensate che la scelta di Bertinotti di fare il presidente della Camera, e quindi la sua assenza dalla battaglia quotidiana per spostare l’asse del governo, sia stata un errore?

 

MIGLIORE:Non credo. Il nostro errore è stato quello di non aver investito sulle cose positive fatte e sui momenti di grande partecipazione. Penso alle due manifestazioni contro la base a Vicenza e quella del 20 ottobre, pochi mesi prima delle elezioni. C’erano più manifestanti il 20 ottobre che voti nelle urne. Un errore, piuttosto, è stato di non andare a fondo con il processo di unità. La presenza di Bertinotti ai vertici delle istituzioni poi, è stata condizionata dalla crisi di legittimità che ha investito le istituzioni. Anche noi siamo stati percepiti come casta.

 

GRASSI:Non sono s’accordo. Se invece di avere mezzo ministro su 25 e la presidenza della Camera avessimo insistito su due dicasteri pesanti saremmo stati più incisivi. Se avessimo avuto il ministero del Lavoro la partita sul welfare sarebbe stata diversa. Le manifestazioni citate da Migliore dimostrano quanto il nostro popolo abbia tentato, fino all’ultimo, di sostenerci. Ma se poi non si portano a casa risultati si dimostra solo la nostra incapacità di incidere. Ma io non sono pessimista: la sinistra c’è, ma non ci vota perché abbiamo sbagliato. Se raddrizziamo la rotta torneranno a votarci.

 

MIGLIORE: Credo che quella di Grassi sia una lettura ottimistica: non basta riproporre noi stessi, così come eravamo. Noi dobbiamo rimettere in discussione le nostre pratiche, uscire da noi stessi, per riconquistarli quei voti. Non c’è andata e ritorno. Oggi dobbiamo ripensaci e ripartire dalla nostra evoluzione, basata, certo, su alcune eredità imprescindibili, come quelle del movimento operaio italiano. Ma non basta: per esempio, oggi la precarietà colpisce la società in maniera inedita e quindi va letta e contrastata con nuove categorie e azioni. Per me quelli persi non sono voti in libera uscita, ma voti da riguadagnare, a uno a uno.

 

 

Perché siamo alla rottura dentro Rc? Quali sono le vere differenze tra le vostre due mozioni?

 

MIGLIORE: Questo congresso muove da una necessità oggettiva: dopo una sconfitta di tali dimensioni non si poteva procedere per piccoli aggiustamenti. Io non ho mai pensato che la posizione di Grassi fosse puramente identitaria. Ma la nostra pone con più forza i problemi della forma della politica attuale. La domanda a cui rispondere è: qual è lo strumento giusto per l’azione politica oggi? E in quale contesto questa si dispiega? Lo strumento che noi vogliamo è Rifondazione, che però non va bene così come è. Va rafforzata sul piano dei processi decisionali e democratici, costruendo una nuova collegialità. Si rafforza, inoltre, se diventa lo strumento per costruire la nuova sinistra. Senza noi la nuova sinistra non nasce.

 

GRASSI: Sono d’accordo sulla necessità di riformare il partito. In questi anni Rc ha fatto sforzi generosi per intervenire nella società, rapportarsi ai movimenti, adeguarsi ai tempi nuovi. Ma in questi passaggi, certo utili, ha ecceduto negli slanci, mentre il partito è rimasto sempre in secondo piano. Qui noi dissentiamo. La nostra organizzazione, il partito, ha bisogno di cure, perché può dare ancora molto alla sinistra. Un errore della mozione di Migliore è pensare che, con la fuoruscita di una parte di compagni dai Ds, si potesse avviare subito un processo di unità rimuovendo differenze politiche significative. In verità non ci sono le condizioni per costruire un soggetto unico con questi compagni. Occhetto ha parlato non solo di una sinistra che supera divisione tra riformisti e rivoluzionari – e già su questo ci sarebbe da discutere – ma pure di “sinistra di governo”. Io penso, invece, che dopo questa esperienza di governo dobbiamo fare una riflessione di fondo: in questa fase storica, la sinistra deve avere come obiettivo la partecipazione al governo?

 

 

La posizione di Fava è diversa però. Davvero non ci sono condizioni per l’unità?

 

MIGLIORE: A me sembra importante intanto fare ai compagni di Sd un riconoscimento. In tanti dicevano che dopo la sconfitta elettorale sarebbero rifluiti verso il Pd. Così non è stato. Io credo che non è più il momento di pensare alla sinistra come sommatoria di binari che corrono paralleli, anche se vicini. La nostra esigenza è il rimescolamento, è l’attivazione dei singoli che costruiscono forme di presenza nella società. Anche io trovo la proposizione “sinistra di governo” molto distante da me, tuttavia credo che tra i tanti obiettivi della sinistra ci sia pure quello di costruire delle credibili proposte di governo. Noi oggi siamo, per citare Franco Cassano, in una crisi di idee, non in una crisi di alleanze. Il nostro problema è come rielaboriamo la linea, e se Rc è autosufficiente in questo. Io credo di no. Credo che possiamo dare il nostro contributo, ma questi compagni non possono essere visti come un problema. Dobbiamo invece allargare lo sguardo, vedere tutte le risorse a cui possiamo attingere.

 

GRASSI:Possiamo fare tante cose insieme, ma non un soggetto unico. Quando Fava parla di sinistra di nuovo conio, la propone a Veltroni e parla di aggancio al socialismo europeo, sostiene tre cose su cui io avrei molto da dire. Il congresso nasce anche da questo problema. Mi fa piacere sentire oggi che Rc non si scioglie e si salva, ma lo scontro si è acuito quando in campagna elettorale è emerso il contrario. Se parli, come ha fatto Bertinotti, di comunismo come “tendenza culturale” è chiara la direzione. Allora bisogna rispondere chiaramente a una domanda: in questo processo unitario Rc sparisce o no? Noi non vogliamo che sparisca.

 

MIGLIORE:Èuna rappresentazione semplicistica.

 

GRASSI:Che però è stata evocata.

 

 

Quale rapporto deve intrattenere il Prc con il Pd? Facciamo l’esempio di Roma, della sconfitta di Rutelli, un candidato difficile da sostenere anche a causa delle sue posizioni sulla Chiesa e la religione.

 

GRASSI:Premetto che io alla critica alla religione ci credo ancora, e sono ateo. Il caso Rutelli è paradigmatico del problema che abbiamo nel Paese col Pd. Io, con questo Pd, non solo non vedo le condizioni di alleanze nuove, ma vedo un’evoluzione che mette in discussione anche la possibilità di alleanze locali. Non c’è solo Rutelli, c’è Cofferati a Bologna, Chiamparino a Torino, Penati a Milano…, un ceto politico trascinato verso una posizione moderata e centrista che ci porta lontani dalla possibilità di ricostruire alleanze.

 

MIGLIORE: Io, che non sono credente, non semplificherei i ragionamenti sulle scelte della sfera personale. Altro è quello che fa discendere da dogmi e convinzioni religiose le scelte della politica. Il grande tema è la laicità, lo spazio di autodeterminazione degli individui. Rispetto al Pd, dire che non ci si prende neanche il caffè, implica la rottura col Pd ovunque. Io invece credo che vada contrastato quando non fa opposizione, ma il problema della relazione con questa forza esiste. Ci sono tante esperienze comunali e regionali in cui il nostro contributo si è sentito eccome con buoni risultati. Da Padova al Friuli. E poi non dimentichiamo che c’è Nichi Vendola presidente di Regione. Prima delle alleanze dobbiamo ricostruire un sistema di relazioni. Le alleanze si decidono per fare qualcosa (il governo ad esempio), le relazioni invece vanno create e mantenute. Se vogliamo contrastare veramente le politiche della destra noi dobbiamo riuscire a spostare anche il Pd su posizioni a noi vicine. Non precludere i rapporti e basta.

 

 

Ma perché Rc è così importante? In fondo è un “contenitore”. Crede che le sue idee e contenuti non sono esportabili in un nuovo soggetto?

 

GRASSI:Perché ho verificato che in questi 17 anni Rc ha aiutato la sinistra tutta a non perdere contatto con certe battaglie. Quello che temo è che un panorama della sinistra italiana senza Rc sarebbe più debole, non più forte. Temo l’operazione che supera un soggetto politico organizzato per confluire dentro una cosa indistinta e incerta. Per questo i due processi dovrebbero correre parallelamente.

 

MIGLIORE:Ma l’unità si fa anche definendo gli ambiti della sovranità. Il punto della democrazia è fondamentale. Tu dici che Rc è un soggetto politico e poi ci sono relazioni con gli indipendenti di sinistra. Come se pensassi che Rc è il Pci, che invece era una forza ben più grande, strutturata e complessa. Mi colpisce che tu evochi un timore: “non so cosa succede”. Io so cosa è successo costruendo questa Rc, che si è formata sulla continua sfida al senso comune: con la non-violenza per esempio. La nostra identità ce la siamo formata camminando, in divenire. Rc l’abbiamo fondata nel ‘98 con la scissione. Penso che tornare a prima del ’98 sarebbe un errore capitale. E non basta neanche tornare a prima del 2006.

 

GRASSI:Per me l’atto fondativo di Rc è il 1991. Io non voglio tornare né al ’91, né al ’98 né al 2001. Ritengo che oggi, nel 2008, nella sinistra italiana una forza comunista come Rc abbia ancora tanto da dare. E sarebbe sbagliato scioglierla in un contenitore indistinto che, per esempio, se domani andasse unita alle Europee eleggerebbe tre persone in tre gruppi diversi: uno nei socialisti, uno nei verdi, uno nei comunisti. Non ci sono le basi culturali per un partito unico. Il 20 ottobre, ad esempio, in piazza c’eravamo noi, non Mussi. I messaggi mandati nelle ultime settimane della campagna elettorale dicevano che se la Sa avesse avuto un buon risultato quello sarebbe stato un primo passo per costituire un soggetto unico della sinistra. Voi rimuovete, come nella storia del governo, i problemi. E poi il bubbone esplode.

 

MIGLIORE:Ma sei sicuro che lo schiantarsi invece non sia proprio dovuto alla poca credibilità dell’aspirazione unitaria, che era fortemente desiderata dalla base?

 

GRASSI:La causa della sconfitta è la nostra inefficacia al governo. Avremmo preso il tre per cento comunque.

 

MIGLIORE: I voti verso l’astensione ti danno ragione. Ma il milione e oltre che votano il Pd dice il contrario.

 

GRASSI: Il voto era in libertà, sono saltate le distinzioni e sulla sinistra ha fatto presa la paura di Berlusconi.

 

 

Parliamo dell’agenda politica. Quali sono le priorità?

 

GRASSI:Unire tutte le forze alla sinistra del Pd per costruire l’opposizione al governo. In questo primo mese sono accaduti fatti gravissimi, sul fronte economico e sociale come nel clima culturale. Il partito deve stare in questo processo, rafforzarsi e recuperare il rapporto con la base. Innanzitutto chiarendo che alle Europee si va da soli col nostro simbolo. È un’occasione per recuperare consensi, riprendere fiato e ridare slancio alla sinistra tutta.

 

MIGLIORE: Anche io penso che le Europee siano troppo vicine per proporre forme diverse. Rispetto all’azione generale: la modalità di avvio del congresso ha sottratto Rc al dibattito pubblico del Paese in un momento drammatico. In questi giorni non abbiamo neanche trovato il tempo di incontrarci con le altre forze politiche con cui abbiamo condiviso la sconfitta per fare un minimo di valutazione. Così il rischio è che il “regime leggero” di cui parla Bertinotti, nel quale il conflitto è espulso dalla politica, si instauri veramente. Noi dobbiamo intervenire su alcuni punti che diventino elementi caratterizzanti per tutta la sinistra. Come il tema dei diritti della persona. Poi dobbiamo aprire un confronto ravvicinato con le forze sociali, come il sindacato. Perché, seppur nel rispetto della loro autonomia, non è possibile che avvengano processi di forte ridimensionamento del potere contrattuale dei lavoratori, senza che se ne discuta.

 

 

Torniamo al congresso. La spaccatura del partito sembra inevitabile, eppure a parole non la vuole nessuno. Come si ricompone?

 

GRASSI: Dobbiamo evitare a tutti i costi che Rc si spacchi tra costituente della sinistra e comunista. Entrambe le opzioni sarebbero residuali. Rc deve restare in un percorso dal basso, a partire dalla costruzione sul territorio di case della sinistra. Per questo chiediamo che dopo il congresso, chiunque vinca, si faccia una gestione unitaria e, chiunque perda, si impegni a rimanere nel partito.

 

MIGLIORE:Trovo enfatico l’appello alla fedeltà al partito. Io Rc l’ho costruita come e quanto Grassi, è il mio partito. Perciò nonostante l’asprezza del dibattito chi raggiunge la maggioranza al congresso deve avanzare una proposta a tutto il partito. Io penso che le aggregazioni delle mozioni siano transitorie. Dobbiamo scioglierci come mozioni il giorno dopo il congresso. La nostra è una comunità plurale e democratica, gli iscritti si esprimeranno e il partito seguirà.