di Anna Belligero* e Simone Oggionni**
Sull’ultimo numero di Argomenti umani Agostino Megale riporta, in un lungo saggio di analisi del voto di aprile e dei flussi elettorali, i risultati di un’inchiesta di Swg. Tra questi, ve ne sono alcuni su cui varrebbe la pena soffermarsi. Soltanto il 3,07% dei giovani tra i 18 e i 24 anni ha scelto la Sinistra Arcobaleno. Se consideriamo i lavoratori della stessa fascia d’età (presumibilmente in larga parte lavoratori dipendenti e – dicono le statistiche – titolari di contratti atipici e precari) la percentuale scende al 2,5%.
Queste cifre indicano che la disaffezione che ha prodotto la perdita di quasi tre milioni di voti è stata ancora più devastante tra i giovani, contraddicendo e rovesciando la costante di un voto giovanile tradizionalmente più spostato a sinistra; e che, soprattutto, essa ha colpito con una estensione maggiore proprio i lavoratori.
Ma cosa nasconde questa “disaffezione”? Lo abbiamo detto tutti: la delusione per un’esperienza di governo fallimentare durante la quale la sinistra non è riuscita a incidere significativamente sull’azione dell’esecutivo; il disorientamento per la vacuità di un progetto politico – quello della Sinistra Arcobaleno – presentato come la giustapposizione di “tendenze culturali” spesso radicalmente distinte; infine, il senso di una sconfitta (di valori, di radicamento sociale, di prospettive) di lungo periodo.
A ciò aggiungiamo un elemento, che riguarda da vicino la nostra generazione. Tra i 18 e i 30 anni non si guarda soltanto ai risultati di un governo o alla consistenza delle alleanze. Si guarda anche all’immaginario, a ciò che – in termini di sogni e di prospettive – la politica è in grado di comunicare. E noi, anche su questo, siamo rimasti un passo indietro.
A noi pare che il congresso del nostro partito possa essere utile nella misura in cui si interroghi su questi eventi allo scopo di porvi rimedio.
Non siamo stati in grado di condizionare le forze moderate dell’Unione durante l’esperienza del governo? Si prenda atto che non è riproponibile, oggi e con questo Pd, un dialogo teso alla costruzione di una nuova alleanza di governo. Si rifletta sulla distanza profonda tra le ragioni sociali della sinistra e la linea politica del Pd e si lavori alla definizione di convergenze soltanto laddove esistono accordi programmatici qualificanti.
Abbiamo dato vita ad un cartello elettorale impalpabile e che, al contempo, veniva presentato come primo passo per la costruzione del “nuovo soggetto unico della sinistra”? Si investa speditamente sul Prc e al contempo si trovino le forme per coordinare la sinistra diffusa, in ogni singolo quartiere, in ogni singolo luogo della produzione.
Abbiamo subìto e subiamo gli effetti del ciclo lungo dell’ultima rivoluzione passiva? Affiniamo le armi dell’analisi critica, dell’inchiesta e della mobilitazione sociale, provando a calibrare ciascuna di esse intorno al nostro obiettivo: unificare i mille soggetti subalterni, gli operai in tuta blu e i lavoratori della conoscenza, riconquistando innanzitutto il cuore della nostra generazione, che è nata (e rischia di morire) nella precarietà e nell’incertezza.
Questo dovrebbe essere lo spirito con cui anche le/i Giovani Comuniste/i affrontano il VII congresso. Da struttura autonoma e per vocazione sociale, certo, ma che – in quanto parte integrante della comunità politica del Prc – ne vive le medesime difficoltà e contraddizioni.
Consci che non esistono responsabilità univoche, e che esse sono di tutti, nella misura in cui ciascuno di noi ha potuto partecipare alla definizione della linea politica in questi anni, stiamo presentando nei congressi di circolo un ordine del giorno che affronta appunto il tema di come rimettere in moto un’organizzazione giovanile comunista in grado di ricostruire organicamente la sua internità alla società e ai suoi conflitti.
Un’organizzazione che si impegni a costruire, da subito, tre grandi campagne di massa. La prima: contro l’insicurezza del e sul lavoro, anche attraverso la convocazione di una grande manifestazione nazionale che ponga l’obiettivo dell’abrogazione della legge 30. La seconda: per il diritto allo studio, la gratuità dell’istruzione, per una università di massa e per saperi non massificati, dando vita a (e possibilmente alle stampe) un lavoro collettivo di approfondimento culturale sui processi di controriforma in atto. La terza: contro il razzismo di massa e il rischio che tale deriva divenga irreversibile, per scongiurare ulteriori “pacchetti sicurezza” che pretendano di risolvere, per fare solo un esempio, la violenza contro le donne con l’espulsione dei migranti. Proseguendo il lavoro nelle scuole, prendendo contatti con le comunità Rom, con le tante associazioni di migranti, cercando di capire insieme come interrompere la catena di ignoranza e pregiudizio.
Forse, per farlo, servirebbe anche che tutte le nostre compagne e i nostri compagni potessero discuterne in una assemblea nazionale, nel corso della quale chiarire inequivocabilmente se tutti ancora condividiamo il presupposto essenziale: la permanenza della nostra organizzazione.
Come è evidente, proporre di dare vita, nella forma della “costituente della sinistra”, ad una nuova soggettività politica, cambierebbe – e non di poco – l’oggetto della discussione. Ma siamo convinti che le/i Giovani Comuniste/i abbiano ancora tanta voglia di essere tali, nel nome come nella pratica quotidiana, e che vogliano ancora trasmettere alla nostra generazione tutta la passione per un sogno, quello di trasformare lo stato di cose presente.
*portavoce Giovani Comuniste/i Bari
**coordinamento nazionale Giovani Comuniste/i