di Andrea Fabozzi
su Il Manifesto del 29/05/2008
Omaggio della camera dei deputati al fondatore del Msi. Fini: difesa della razza vergognosa, ma fu un pacificatore. L’ossequio di Violante.
Un padre della patria forse è ancora troppo, ma un uomo politico che ha «reso più salda la democrazia italiana», «intuito il valore della pacificazione nazionale» e «difeso le istituzioni» quello sì, quello fu Giorgio Almirante. Almeno nella lettura di Gianfranco Fini che di Almirante fu il delfino e che si è trovato ieri nel ruolo d’onore, presidente della camera dei deputati, per poterlo celebrare a vent’anni dalla morte. La Fondazione della camera, guidata da Fausto Bertinotti in quanto ex presidente di Montecitorio, ha presentato la raccolta degli interventi parlamentari di Almirante, onore fin qui toccato a politici come Sandro Pertini, Concetto Marchesi e Bettino Craxi. Difensore delle istituzioni ma anche, ha riconosciuto sempre Fini in aula alla camera, autore di pensieri «certamente vergognosi».
Pensieri e opere visto il documento riproposto qui accanto: certamente un ordine di fucilazione dei partigiani. Quando il deputato del Pd Emanuele Fiano ieri ha letto in aula un articolo di Almirante comparso sul periodico La difesa della razza il 5 maggio del 1942 – «Il razzismo ha da essere cibo di tutti e per tutti, se veramente vogliamo che in Italia ci sia, e sia viva in tutti, la coscienza della razza. Altrimenti finiremo per fare il gioco dei meticci e degli ebrei, degli ebrei che come hanno potuto in troppi casi cambiar nome e confondersi con noi» – Fini presiedeva l’aula e si è sentito di replicare. Ha detto che «sono certamente vergognose le frasi che Fiano ha letto» ma che «esprimono un sentimento razzista che purtroppo in quell’epoca tragica albergava in tanti e troppi esponenti che in alcuni casi si allocavano a destra, in altri in altre formazioni politiche». Tutti colpevoli, come spiegherà oggi il giornale di An che pure Fini vuole chiudere: «Giorgio Almirante scrisse quelle frasi in una fase in cui il demone dell’antisemitismo si era purtroppo impadronito di molti intellettuali e politici italiani», spiega il Secolo d’Italia, e via citazioni di Spadolini, Fanfani, Scalfari. Ma nessuno di loro, a differenza di Almirante e anche di Fini, sepolto Mussolini ha più pensato di coltivare la fiammella di Predappio.
La destra non ha problemi di Pantheon, a differenza della sinistra che espelle i suoi padri per fare spazio a quelli degli altri. Fini tra i suoi è sempre stato quello più capace di abiure e aver definito «vergognose» le frasi di Almirante vale almeno quanto aver giudicato il fascismo «parte del male assoluto». E infatti non a tutti gli eredi del Msi è piaciuto il Fini del mattino, molto meglio quello del pomeriggio. Quando, davanti a Bertinotti, Andreotti, Cossiga, Violante e alla vedova di Almirante (un po’ seccata per le parole del mattino), nella salone più solenne, quello «della lupa», Fini ha rotto gli argini. Certo, oggi non sostiene più come scrisse sul Secolo in edizione straordinaria dopo la morte di Almirante che il fondatore del Movimento sociale italiano fu «un apostolo instancabile dell’idea che egli con un pugno di coraggiosi ha rialzato quando la sconfitta l’aveva gettata a terra» perché quell’idea si chiamava fascismo. «Il leader della destra nazionale – ha detto ieri Fini – non era, non poteva essere né tantomeno desiderava essere uno dei padri della repubblica democratica. Però ci teneva a ribadire che la sua patente democratica se l’era conquistata sul campo». Merito del suo maestro politico, ha sostenuto Fini, fu quello di «non chiamarsi mai fuori dall’Italia anche quando l’Italia della politica puntava a marginalizzarlo e, in una certa fase, anche a perseguitarlo». Non solo, l’ex capo di gabinetto della Repubblica di Salò secondo Fini, presidenzialista convinto, fu un precursore delle riforme istituzionali, della «nuova repubblica capace di decisione». Purtroppo «non ha avuto il tempo di vedere realizzate le sue intenzioni». Purtroppo o per fortuna, verrebbe da dire, ma non a Luciano Violante che ieri era presente insieme al gruppone degli ex ragazzi di Almirante – La Russa e Gasparri innanzitutto – che oggi godono del potere berlusconiano. Per Violante che fu il primo a rivalutare i «ragazzi di Salò» non è stato difficile ieri riconoscere ad Almirante il merito di aver ricondotto «nell’alveo della democrazia gli italiani che non si riconoscevano nella repubblica del ’48». Ragione per cui Violante ha quasi corretto Fini, ricordando che Almirante «prese pubblicamente le distanze, a differenza di altri» dalle posizioni razziste espresse ai tempi del fascismo.
Il moderato Marco Follini è stato invece nel partito democratico quello capace delle presa di distanza più netta: «La celebrazione che la destra sta facendo di Giorgio Almirante è allo stesso tempo un comprensibile sentimento umano e un incomprensibile errore storico e politico». Se ne riparlerà, visto che il sindaco Gianni Alemanno non rinuncia alla sua idea di intitolare una strada di Roma ad Almirante e il regista Pasquale Squitieri approfitta per annunciare di avere guardacaso pronta una sceneggiatura per un film sulla vita del fondatore del Msi: «Manca ancora un produttore» ma è ragionevole pensare che a questo punto lo troverà. Anche dopo la giornata di ieri, per Gianfranco Fini «una bella pagina di democrazia».