di Leonardo Masella
su Liberazione del 29/05/2008
L’autocritica che Ferrero fa sul Congresso di Venezia nell’intervista a Liberazione del 16 maggio («l’errore fondamentale fu aver sbagliato l’analisi dei rapporti di forza») è apprezzabile ma insufficiente. Non si è trattato di un “errore”, tutti sapevano che non vi erano i rapporti di forza. L’obiettivo vero dell’ingresso nel governo non era quello di cambiare la società ma la natura del partito, spegnendo l’antagonismo storico del Prc al capitalismo per portarlo all’avvicinamento e poi alla fusione con quelle componenti di sinistra, socialdemocratiche e ingraiane dei Ds (da Folena, a Tortorella, a Mussi, a Occhetto) con le quali il Prc aveva rotto dopo lo scioglimento del Pci. Il rifiuto di uscire dal governo anche di fronte a provvedimenti odiosi non si spiega se non con il rifiuto di rompere quel progetto, che infatti ora è perseguito ancora, costi ciò che costi, dall’area di Vendola.
Il processo di superamento del Prc non è riducibile alla sola campagna elettorale, come sostiene Ferrero. La questione del nuovo soggetto politico al cui interno superare il Prc viene da lontano. Basti solo pensare a cos’è stata la sezione italiana della Sinistra Europea. Il problema, al fondo, è l’esistenza o meno di un partito comunista, che la mozione di Ferrero infatti non cita mai una volta, neanche per sbaglio, né “restaurato” né “rifondato”. Nella sua intervista Ferrero si limita ad affermare: «Per me comunismo è il movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti». Questa affermazione di Marx è bella e condivisibile, ma un movimento che vuole abolire il capitalismo, se non vuole rimanere sulle nuvole della tendenza culturale, ha bisogno di organizzarsi in un partito, in una forte organizzazione comunista e di lotta anticapitalistica, persino sul piano mondiale, altrimenti il comunismo diventa sì “una idea religiosa” dell’aldilà.
Invece il compagno Ferrero mette sullo stesso piano la costituente di Bertinotti e Mussi e la necessità di ricostruire una forza comunista attraverso un ineludibile processo di superamento della diaspora comunista. Secondo Ferrero le due costituenti spaccherebbero la sinistra. Ma è proprio il contrario. Oggi la sinistra è più frantumata che mai. I due processi di riaggregazione unitaria, quello socialista e quello comunista, almeno avrebbero il pregio di unirne le parti più omogenee, invertendo la tendenza alla disgregazione centrifuga, per poi costruire fra di loro l’unità d’azione possibile. L’alternativa è l’ulteriore frammentazione e distruzione di quel poco che è rimasto a sinistra.
Infine una convergenza su una frase dell’intervista. Afferma Ferrero: «A questa destra populista o contrapponiamo una radicalità altrettanto forte, comunista, oppure vince la guerra tra poveri». Condivido pienamente questa tesi che è il leit motiv della mozione che sostengo: “Rifondare un partito comunista per rilanciare la sinistra”. Tuttavia, per sconfiggere la guerra tra poveri che rischiano di essere preda delle ideologie radicali delle destre, è necessaria ma non sufficiente la “radicalità comunista”. Assieme alla radicalità serve anche una forza consistente, una massa critica in grado di diventare punto di riferimento credibile per il malessere sociale crescente, altrimenti, se quella che Ferrero chiama la “radicalità comunista” è divisa in tre/quattro piccoli pezzi, il malessere sociale andrà ancora più a destra, contro gli immigrati, contro i lavoratori pubblici “fannulloni”, contro i gay e le lesbiche, oppure, ancora peggio, a sostegno del nazionalismo e delle guerre imperialistiche di aggressione ad altri popoli del mondo. Per questo, proprio per dare coerenza a questa idea condivisibile, ci vuole un processo di ricostruzione di una forza comunista che sia contemporaneamente radicale nei contenuti e nella ideologia ma anche robusta, un polo credibile e attrattivo sia del malessere sociale che dei pezzi sparsi della sinistra anticapitalistica. I due partiti che realisticamente possono assieme costituire questa prima aggregazione unitaria consistente sono obiettivamente il Prc e il Pdci. Questa unità sarà più forte se si costruisce innanzitutto sul terreno sociale e nelle lotte di massa. Per questo mi piace l’idea di Ferrero che si debba “ripartire dal 20 ottobre”, dal milione in piazza sulle questioni sociali sotto la marea di bandiere rosse con la falce e martello del Prc e del Pdci, per promuovere una nuova manifestazione d’autunno come quella. Ma non allargando in modo politicistico anche a Sd e Verdi (come propone Ferrero, ripetendo la Sinistra Arcobaleno già fallita), ma costruendo una piattaforma alternativa alla guerra e al neoliberismo, che coinvolga anche i movimenti e le forze della sinistra anticapitalista e di classe che il 20 ottobre non manifestarono con noi. L’unità della sinistra anticapitalistica ha bisogno della riunificazione delle forze comuniste, nella lotta e dal basso, in continuità con il successo del 20 ottobre, in discontinuità con il fallimento della Sinistra Arcobaleno.