di Sara Menafra Marina Zenobio
su Il Manifesto del 25/05/2008
Un gruppo a volto coperto devasta tre negozi e pesta un immigrato: «Avete rotto il cazzo. Andatevene». Applausi dalle finestre. Una testimone: «C’erano delle svastiche»
Sono circa le cinque e mezza, quando Sat Paul, indiano, proprietario di un piccolo spaccio nel quartiere Pigneto a Roma, li vede arrivare. La sua bottega è in via Macerata 28, e lui racconta di aver immediatamente riconosciuto almeno il «leader» degli aggressori. Un uomo di quarantanni circa, a bordo di una moto, seguito da un gruppo di ragazzi tra i venti e i venticinque anni, armati di mazze di legno e di un piede di porco. Tutti hanno il volto coperto da un fazzoletto bianco e nero, racconta ad una giornalista del manifesto che arriva sulla scena mentre l’assalto è ancora in corso: «Il capo è un uomo adulto, piuttosto conosciuto nella zona. Si è presentato qui questa mattina, raccontando che qualcuno gli ha rubato il portafogli proprio mentre si trovava qui di fronte. Ha accusato un tunisino che frequenta spesso questo negozio e ha insistito col dire che voleva indietro sia il portamonete sia i cinquecento euro che conteneva».
Quando vede arrivare il gruppo, Sat fa appena in tempo a buttar giù la saracinesca del frutta e verdura, con lui e sua moglie dentro. Ma dall’interno sente che gli aggressori si accaniscono con le vetrine appese al muro esterno e sul portone del palazzo affianco. Provano a forzare la serranda col piede di porco, ma non ce la fanno. E allora si spostano, in un’altra stradina di questo quartiere ritagliato tra le consolari e i binari che attraversano la città. Un posto noto per la presenza di immigrati giunti d’ogni dove, ma anche per locali e localetti, pieni soprattutto di studenti.
Il gruppo arriva in via Ascoli Piceno, dunque, e qui prova ad attaccare il «Bangladesh alimentari» di Kabir Mhdakayun, a civico 8, e quindi la lavanderia-phone center «Rez» di Islam Serajuz, al civico 12. «Sono arrivati all’improvviso – dice Islam – c’era mio nipote dentro, io ero al bar di fronte e sono subito corso. Hanno rotto tutto, le vetrine, le cabine dei telefoni, hanno anche ferito un cliente che stava telefonando e si è spaventato molto. E’ del Banghadesh come me, aveva un taglio in faccia, credo sia scappato via. Non so perché l’abbiano fatto. Erano tanti, circa venti, a viso coperto con bastoni di legno e spranghe di ferro».
Simona Zappulla, giornalista dell’Agi, è anche lei in via Ascoli tra il phone center di Islam e il bar dirimpetto, ma la scena la racconta con qualche particolare in più. Ad esempio, è l’unica testimone ad essere certa che quei segni neri sul bavaglio di alcuni rappresentino una svastica: «Ero sul motorino, ho visto arrivare prima un ragazzo con il fazzoletto con la svastica che gli copriva la faccia, eppoi tutti gli altri. Hanno aggredito un uomo che si trovava all’esterno del bar, a quel punto mi sono spaventata e sono corsa in un negozio che ha tirato giù la serranda».
La somma delle testimonianze, racconta una aggressione razzista, partorita in quel mondo grigio che vive tra la microcriminalità e gli ambienti dell’estrema destra romana, anche perché già un paio d’ore dopo i fatti più di un testimone racconta di conoscere almeno di vista l’uomo che ha dato il via all’assalto: si fa chiamare «Pippo», vive anche lui dalle parti del Pigneto e gestisce una palestra della zona. Qualcuno assicura che per i suoi progetti sportivi abbia ricevuto persino fondi dall’ex sindaco Walter Veltroni, anche se si fa vedere in giro con qualche attivista di gruppi neofascisti. Forse, del vicino circolo futurista, legato a Fiamma tricolore.
Qualcun’altro aggiunge che in almeno uno dei tre negozi vittime dell’assalto, qualche tempo fa la polizia abbia trovato un discreto quantitativo di droga e che il negozio chiuse per riaprire subito dopo. E c’è chi giura di aver sentito applausi e urla di incoraggiamento dalle finestre che affacciano sulla via.
Sono più o meno le otto, ra quando il tam tam fa il giro della città e dai centri sociali arriva un centinaio di attivisti, che improvvisano un sit-in. C’è anche il presidente del sesto municipio, Gianmarco Palmieri, che prende il megafono: «Mi impegno a lavorare sul territorio – urla – per emarginare queste schegge impazzite che spero non siano di questo quartiere». Arriva la solidarietà del sindaco, Gianni Alemanno di An: «E’ necessario ripristinare la solidarietà a trecentossessanta gradi».
Kabir, il proprietario dell’alimentari devastato, si guarda attorno attonito, le domande gliele traduce una bimbetta, sua nipote. «Sono entrati come delle furie, con i bastoni, urlando avete rotto il c… e hanno sfasciato tutto, il frigorifero, e poi sono andati via»