di Simone Oggionni*
1. Partiamo dalla fase politica, dall’evento più caldo: il G8. Spostato all’Aquila per propaganda politica, rischia sempre più di diventare una semplice passerella di leader politici, visto anche le recenti pubblicazioni del Guardian e del resto della stampa estera…
Il vertice del G8 dell’Aquila è lo specchio di un mondo che non c’è più. Il mondo è cambiato totalmente dal primo vertice del 1975; è cambiato a tal punto che concordo con quanti sostengono che sia praticamente impossibile assumere decisioni vincolanti in un consesso dal quale risultano estromessi grandi Paesi e grandi potenze come la Cina, l’India, il Brasile, la stessa Unione Europa in quanto tale. Anche per questo è sempre più illegittimo e, nella misura in cui riesce a funzionare, è dannatamente dannoso, perché le linee guida in politica economica (il trend di privatizzazioni e svendita dei diritti e del patrimonio pubblico) e ambientale vengono anche da qui, dalle scelte dei G8.
Per quanto riguarda il Guardian e la polemica con Berlusconi, come dare torto a chi registra che l’Italia è al 55° posto nella lista dei Paesi meno corrotti, dietro Pakistan, Azerbaigian, Senegal e Sierra Leone? Il nostro è un Paese ormai totalmente privo di credibilità internazionale, guidato da un presidente del Consiglio che concepisce la politica soltanto in questi termini: vantaggio personale, difesa degli interessi dei poteri forti, propaganda.
2. Questo evento serve però al governo anche per mettere una stretta ai movimenti, come dimostrano gli ultimi arresti…
Questo è un punto cruciale. È in atto una stretta repressiva drammatica: le perquisizioni, i fermi, addirittura gli arresti preventivi, la gestione folle della piazza da parte delle forze dell’ordine, da Roma a Cagliari a Torino. Sono tutti segnali di un Paese in cui la democrazia è ormai fragilissima. Gli obiettivi sono due: da un lato si vuole annichilire e sedare un movimento capace di riversare nelle piazze in questi mesi centinaia di migliaia di studenti uniti nella lotta per una istruzione libera e pubblica; e dall’altro lato si vuole moltiplicare esponenzialmente la tensione in maniera da creare i pretesti per poter consegnare alla condanna senza appello dell’opinione pubblica un intero movimento o, peggio ancora, la stessa idea di critica del G8 e delle sue politiche.
3. Nonostante questo le iniziative politiche contro il vertice si stanno sviluppando in tutta Italia. Qual è il ruolo che stanno svolgendo i Gc e che ruolo avranno nelle prossime manifestazioni?
Abbiamo aderito a tutte le iniziative organizzate in queste settimane, sia a quelle costruite con il consenso di tutto il movimento sia a quelle più problematiche e su cui si sono determinate maggiori riserve da parti rilevanti del movimento. Ogni territorio sta dando il proprio contributo, soprattutto nelle realtà più attive. L’ultima manifestazione dell’Aquila, in particolare, è stata un successo. È stato bello vedere la popolazione di questo territorio martoriato acquistare fiducia nei nostri confronti ad ogni passo del corteo, rispondere ai nostri saluti, scendere in strada con noi. È stata una manifestazione bellissima e pacifica con la quale abbiamo dimostrato che in migliaia hanno ancora il fiato per denunciare le bugie di Berlusconi sulla ricostruzione e la militarizzazione da parte del governo di un territorio e di un’intera società. Ed è stato un piccolo successo di partecipazione anche per noi che, come Giovani Comunisti, abbiamo formato con il partito lo spezzone più grande e partecipato. Stiamo invertendo il trend di disorganizzazione e inattività degli ultimi mesi. Il G8 in qualche modo sta riattivando i Giovani Comunisti i quali – come è evidente – si trovano particolarmente a proprio agio in questi contesti…
4. Uno dei temi affrontati al G8 è la crisi economica. Si è discusso in questi giorni di nuove regole di trasparenza per commercio e finanza internazionali. Secondo te queste discussioni sono sufficienti per rilanciare un sistema al collasso e per ridare fiducia ai mercati?
Assolutamente no, sarebbe una pia illusione pensarlo. Come abbiamo detto più volte, questa è una crisi strutturale, che pone in discussione esattamente il modello di sviluppo, le modalità di funzionamento del sistema produttivo. Nessuna delle ricette sperimentate in questi anni dai governi liberisti ha funzionato. Anzi: ciascuna di esse ha portato alla crisi drammatica che stiamo attraversando.
5. Il governo italiano, e nella fattispecie il Premier, sostiene che il peggio è passato: è vero o è solo una boutade? Qual è il costo per i giovani italiani di questa crisi?
È un costo altissimo. Basti pensare che la disoccupazione tra i giovani è cresciuta sino al 30% della popolazione attiva, con punte intorno al 35% nel Sud. Basti pensare che si stima che altri 400mila precari e 900mila lavoratori dell’industria (in buona parte giovani) rischiano il licenziamento in questi mesi. Tutto lascia presagire che il tetto dei 2 milioni di giovani italiani sotto la soglia di povertà è destinato ad essere sfondato. Con buona pace dei sogni di una casa, una sicurezza economica, un posto di lavoro, la prospettiva di una famiglia e di una vita serena. Siamo la generazione precaria. E con la crisi la precarietà si cronicizza.
6. Come si esce dalla crisi?Bisogna proporre soluzioni chiare e concretizzabili: un piano per la piena occupazione, il blocco dei licenziamenti e, ancora, la socializzazione del sistema bancario, con il controllo pubblico del credito. E poi proposte per i giovani. Penso in primo luogo al salario sociale, e cioè all’erogazione di un reddito mensile di 1000 euro per i disoccupati di lunga data e per tutti quei giovani che, pur avendo terminato gli studi, sono in cerca di primo impiego. Poi l’abrogazione del contratto a progetto, emblema della precarietà e forma contrattuale che assicura ai padroni il massimo della flessibilità e dell’arbitrio nella scelta dell’orario di lavoro e della retribuzione, attraverso una contrattazione individuale con il lavoratore. E ancora: ci dobbiamo associare alla proposta della Cgil, che chiede un aumento generalizzato immediato di tutti i salari, gli stipendi e le pensioni di 100 euro al mese (recuperando le risorse da una minore spesa per interessi sul debito, dalla restituzione del fiscal drag e dalla lotta all’evasione fiscale). Infine, a fianco del reddito diretto va rivendicato un sostegno al reddito indiretto, estendendo a tutti i giovani senza lavoro o con contratti di lavoro atipici il diritto all’esenzione totale dal pagamento dei ticket sanitari, tariffe agevolate per il trasporto pubblico locale e convenzioni per teatri, cinema, musei, librerie, sale da concerto, in maniera da garantire la fruizione libera di attività e beni culturali.
7. Come in ogni crisi c’è un aumento dell’insicurezza sociale, che in Italia sembra si stia evolvendo verso una guerra tra poveri e i segnali di razzismo aumentano di giorno in giorno…
È davvero difficile non vergognarsi di questo Paese senza memoria che è sprofondato con il pacchetto sicurezza in una legislazione apertamente razzista. E la cosa che disarma più di tutto è il fatto che il governo non fa altro che registrare il senso comune, approvando per via parlamentare ciò che nella società, a partire dai ceti popolari, è ampiamente diffuso da tempo.
8. Che effetti avrà questo decreto?
Dico tre effetti immediati, perché contenuti nella legge, e un effetto profondo.
I tre effetti immediati: ronde, e cioè milizie, private per controllare il territorio (e cioè tutti quelli che verranno considerati socialmente pericolosi: dagli immigrati ai comunisti, tanto per intenderci); divieto dei matrimoni misti, e cioè la negazione del diritto di contrarre matrimonio senza vincoli di etnia o di religione (proprio come nel 1937, quando il regime vietò il matrimonio degli italiani con i «sudditi delle colonie africane»); e il divieto per le donne straniere, in condizioni di irregolarità amministrativa, di riconoscere all’anagrafe i figli da loro stesse generati. Ma ci rendiamo conto che Paese è diventata l’Italia? Ecco: l’effetto profondo è la rottura del tabù del razzismo, tale per cui tra pochi anni in Italia non ci si vergognerà più nemmeno di dichiararsi apertamente razzisti.
9. Parliamo di noi. Finalmente, dopo mesi, si riesce a creare il nuovo esecutivo nazionale dei GC, che sarà unitario…
Non si tratta di un esecutivo ma di un comitato di gestione che ha il compito di portare l’organizzazione a conferenza, possibilmente entro il gennaio 2010. Con un voto del coordinamento nazionale questo gruppo di lavoro è stato creato sulla base del consenso delle diverse posizioni politiche emerse proprio in sede di coordinamento. Ad oggi però i compagni del vecchio documento “Rigenerazioni” (quello la cui maggioranza è uscita a febbraio con la scissione del Movimento per la Sinistra) non hanno ancora deciso di entrare a far parte dell’organismo. Quindi si tratta di un comitato solo parzialmente unitario. Tuttavia sul terreno delle cose da fare trovare una convergenza è un obbligo, perché dopo anni di gestione oligarchica e iper-maggioritaria quello di cui proprio non abbiamo bisogno è la frammentazione e la divisione statica tra blocchi contrapposti dentro i Gc. A maggior ragione se non sono chiare le posizioni politiche in nome delle quali si produce una contrapposizione. Confido comunque nel fatto che tutti si assumano la responsabilità di esplicitare in queste settimane la propria posizione, la propria idea dell’organizzazione, le proprie proposte per il futuro dei Gc e, sulla base di queste, misurino convergenze e divergenze con quanto fino ad ora si è detto, scritto e fatto.
10. Qual è lo stato attuale dell’organizzazione?
Sarebbe ingeneroso dire che siamo all’anno zero. C’è innanzitutto un patrimonio di militanza e di passione enorme (maltrattato in questi anni da un gruppo dirigente che si è pensato troppo “avanguardia” per ascoltare un po’ anche quello che i compagni nei territori dicevano e pensavano) che va rimesso in rete dentro un quadro politico unitario. E, come è ovvio, bisogna ritornare a fare lavoro politico nelle scuole, nelle Università, nei luoghi di lavoro e nei movimenti. Non c’è alternativa a questo perché non basta dirsi comunisti per portare a casa il consenso.
11. Quale progetto per rilanciare i Gc, quindi?
Partire dai territori, sentire quello che pensano i compagni, e valutare con ciascuno di loro il percorso. Io penso che noi abbiamo bisogno di tanta umiltà, tanta pazienza e un’idea forte per il futuro. Quella a cui molti di noi stanno pensando è che i Giovani Comunisti debbano rafforzarsi e rimettersi in piedi (tornando al consenso che avevamo alla fine degli anni Novanta) e allo stesso tempo lavorare alla costruzione di un’organizzazione giovanile comunista e di sinistra più ampia, più forte e più unita.
*Coordinamento nazionale e Comitato di gestione GC