Slava trudy! – Gloria al Lavoro!

di Giuseppe Carroccia

da essere comunisti.it

Quando lessi nel giugno 1987 questa scritta bianca su fondo rosso in un gigantesco cartellone all’ingresso di uno dei giardini più grandi e belli di Leningrado, nel tradurla mentalmente col mio russo molto approssimativo, Gloria al lavoro, provai un senso di ironico disagio.

Provenivo da Mosca, ero in viaggio di nozze nell’Unione Sovietica diretta da Gorbaciov, e poco prima, unico cliente di un Caffè deserto, ci avevo messo un quarto d’ora per riuscire a farmi preparare un tè,( unica bevanda disponibile), da un barista il quale, non so come facesse, riusciva a muoversi al rallentatore.

Avendo fatto anche io il barista nel bar aziendale delle poste di Roma Termini dove in un quarto d’ora dovevi servire almeno 20 caffè e 5 cappuccini, muovendoti come Charlot nelle comiche, pensavo che i compagni sovietici esageravano in lentezza.

Eppoi mi domandavo: questi lavoratori contano davvero qualcosa nella direzione delle aziende dove lavorano e del paese in cui vivono? Insomma ero scettico su quella frase altisonante.

Mi sbagliavo.

Ci ho messo più di venti anni per capirlo, ci sono arrivato piano piano, nonostante che fin da piccolo sono stato educato a rispettare chi lavora, e da trentatre anni sono un militane comunista.

Leggendo alcune delle risposte degli operai della Sevel contenute nell’inchiesta di Loris Campetti sul Manifesto di qualche giorno fa, ho avuto la conferma che siamo giunti in Italia a un tale livello di svalorizzazione del lavoro che ormai quasi ci si vergogna della propria condizione sociale.

Come nella canzone di Paolo Conte, se potessero tutti si iscriverebbero al sindacato miliardari.

Nell’inchiesta di Campetti l’attenzione è puntata sull’ uso di cocaina, eroina e altre sostanze, dopo che l’anno scorso Repubblica aveva pubblicato un reportage sui muratori del nordest che per reggere lo stress e la fatica e consegnare i lavori in tempo utile si facevano di coca, di cui tracce consistenti ormai si trovano pure nell’aria e nei corsi dei fiumi.

Giustamente Campetti affronta la questione della crisi sociale complessiva del paese che inevitabilmente si riflette anche nella fabbrica.

Nel bene e nel male è sempre stato così.

Fin dall’inizio i migliori scrittori sovietici evitavano di dare una visione romantica o epica dei lavoratori.

In Italia negli anni 50 il cinema, penso al “Grido” di Antonioni con l’operaio che sale sulla ciminiera per una delusione amorosa e all’insuperabile film di Pietro Germi sul ferroviere, o la letteratura con il bellissimo “Una nuvola d’ira” (verso di Majakovskij) di Giovanni Arpino, hanno contribuito a farci vedere i lavoratori in carne e ossa, in pensieri, sogni e desideri.

Ma anche in queste interpretazioni sempre c’era un orgoglio, se non per la propria funzione sociale, perlomeno per il proprio lavoro, che andava comunque fatto bene, anche se era alienante e faticoso.

Anche dopo gli anni 70 con la contestazione, il rifiuto del lavoro ebbe una scarsa rilevanza di massa, giacchè con la fine della piena occupazione trovare un lavoro per ragazze e ragazzi era la prima necessità.

Oggi non è più così. Il problema sembra essere esclusivamente il reddito, l’accesso al consumo.

Nelle nuove generazioni,cioè, si sta profilando un atteggiamento completamente diverso, col quale al più presto dovremo fare i conti.

Questo è secondo me legato a una prevalenza dell’immagine e del virtuale sulle esperienze materiali.

D’altronde se diventa virtuale persino il sesso!

La Fiom con la sua recente accuratissima inchiesta e con le difficoltà organizzative che incontra dovute alla crisi della militanza sindacale volontaria, ha cominciato a studiare il fenomeno e a ragionare sulle soluzioni.

Credo che anche noi nella prossima conferenza nazionale delle lavoratrici e dei lavoratori che la nostra mozione congressuale propone per l’autunno, dovremo ascoltare dalla viva voce dei protagonisti come sta cambiando la percezione che gli operai hanno di se stessi e del loro lavoro.

Naturalmente in questo processo di svalorizzazione la componente fondamentale è quella materiale: salario, orario, ritmi, diritti.

Per questo il nostro partito deve fare la sua parte per organizzare la mobilitazione contro le politiche antioperaie che il governo di destra ha già cominciato a realizzare.

Così come in queste settimane dovremo condurre una campagna straordinaria contro la modifica dei modelli contrattuali e nell’attivo di sabato 24 maggio, opportunamente convocato dal comitato di gestione, dovremo predisporre il materiale da distribuire nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro.

I sindacati di base, la Fiom, la sinistra cgil dovranno impegnarsi per evitare che anche quest’anno il mese di luglio sia infausto per le condizioni di chi lavora e non gli basta lo stipendio per campare dignitosamente.

Insomma partito e sindacato facciano e bene il loro mestiere, ma per trovare la forza indispensabile a vincere ci vorrà anche una mobilitazione delle coscienze, una battaglia delle idee che rivendichi la dignità del lavoratore.

Recentemente oltre cento tra i migliori artisti italiani si sono cimentati in originali interpretazione della falce e martello; cineasti, scrittori, cantanti importanti sono tornati a occuparsi delle fabbriche di ieri e di oggi.

E il bisogno di un’attività soddisfacente rimane, come la rivendicazione del posto fisso, tra le aspirazioni dichiarate delle giovani generazioni.

Le lavoratrici inoltre abituate alla materialità dei lavori domestici e di cura tendono a essere più legate alla concretezza delle condizioni di vita e sono meno soggette, anche le più giovani, a un rapporto superficiale con il lavoro che rimane fondamentale per la loro autonomia e emancipazione.

Lo sa bene Berlusconi che le provoca proponendogli virtuali e aleatori matrimoni milionari mentre realizza materiali e dolorosi tagli allo stato sociale.

La realtà insomma è contraddittoria e aperta a diverse soluzioni.

Molto dipende da noi.

Però la realtà guardiamola bene in faccia, con l’aumento degli infortuni e dei morti sul lavoro, degli incidenti stradali, dei suicidi, delle depressioni e sopratutto degli attacchi di panico che spiegano meglio di tanti ragionamenti perché la destra vince sulla paura e sull’insicurezza.

Se uno ha paura a prescindere, persino quando se ne sta a casa, figuriamoci quando è costretto a uscire.

Inoltre molto spesso i lavori vengono vissuti con fastidio e inutilità, perché effettivamente sono inutili e fastidiosi.

Come deve sentirsi un giovane, magari laureato e aspirante chissachè, a dover proporre da qualche postazione di callcenter, una delle tante offerte promozionali (spesso fregature), a inferociti e indebitati utenti telefonici?

Non a caso le lotte più efficaci e durature in quel settore le hanno organizzate i ragazzi del gruppo Cos che lavoravano come numero verde dell’inps o del fisco e che realmente davano un servizio utile e avevano una forte professionalità e quindi coscienza di classe.

Ma dove più evidente è la svalorizzazione del lavoro è in quello manuale e di servizio, come ad esempio tra i pulitori che tra l’altro sono in vertiginoso aumento, visto che tutte le aziende appaltano i lavori di pulizia.

Non casualmente negli Stati Uniti sono protagonisti di recenti scioperi durissimi, come testimonia uno degli ultimi film di Ken Loach.

La Rifondazione Comunista dovrà pertanto partire da qui, dalla difesa della “casta” più numerosa, quella degli intoccabili, dei paria, di quelli che pala e piccone o pappagallo per i bisogni in mano svolgono un lavoro manuale o di servizio alle persone e che spesso parlano un italiano stentato perchè stranieri anche se nati in Italia.

L’altro giorno sul primo binario di Roma Tiburtina un imbianchino di mezza età stava aspettando il treno per borgata Fidene avvolto in una nuvola di polvere e di bianco me do. Se ne stava per i fatti suoi col suo peroncino a sgrassarsi la gola dall’intonaco scartavetrato dalle pareti di qualche appartamento del centro, quando un gruppo di fascistelli di periferia, acchittatati per il venerdì sera, con certe risate che parevano lamenti hanno cominciato a guardarlo storto, finchè uno gli fa:

_A rumeno scansate che nun se respira._

_Ma che rumeno e rumeno so de Torpignattara._

_Allora sei proprio scemo che vai in giro cosi, nun te vergogni?_

Che dire in risposta?

In poche parole sono già tre parole.

Usiamone due: Slava trudy!