Tibet, il moralismo produce danni

di Kishore Mahbubani
su Corriere della Sera del 19/05/2008

Tutti gli europei, che leggono sui giornali i recenti episodi di proteste e disordini contro il passaggio della torcia olimpica in vista dei Giochi di Pechino, penseranno naturalmente che l’ Occidente si sia prefisso l’ obiettivo morale di aiutare il popolo tibetano. Che cosa c’ è di più morale che aiutare un popolo debole a ottenere l’ indipendenza da un governo oppressivo come quello cinese? La vera tragedia in tutto questo è che le principali vittime delle dichiarazioni dei politici europei saranno proprio gli abitanti del Tibet. Saranno loro a soffrire maggiormente se in Cina dovesse scatenarsi, per reazione, una violenta ondata di nazionalismo.

La propaganda occidentale sul Tibet è una lezione moralistica in bianco e nero. L’ Occidente vuole soltanto proteggere i diritti umani degli innocenti tibetani che negli ultimi tempi hanno perso la loro indipendenza sotto la repressione del governo comunista cinese. Di qui, il grido «Free Tibet» ha suscitato un’ immensa eco emotiva in Occidente. I leader europei agiscono sotto la spinta di una profonda esigenza morale quando decidono di boicottare la cerimonia inaugurale delle Olimpiadi di Pechino. La solidarietà con gli oppressi è da sempre il vanto dell’ Occidente, anche se nessun Paese occidentale si è ancora azzardato a contestare la sovranità cinese sul Tibet. Cerchiamo allora di penetrare nella mente dei cinesi per capire quanto possano apparire diversi gli stessi avvenimenti se visti dall’ altra parte. La storia cinese dimostra che l’ egemonia sul Tibet risale al XIII secolo. Il controllo cinese su questa regione ha avuto alti e bassi nel corso dei secoli, ma così è stato anche per altre aree del Paese: la capitale infatti non ha mai esercitato un controllo centrale e continuo dappertutto. La discontinuità dell’ egemonia cinese in Tibet rispecchia pertanto le alterne vicende del governo centralizzato in Cina. Tuttavia, è lecito affermare che la Cina ha esercitato il suo dominio sulla maggior parte del suo territorio molto più a lungo rispetto ai Paesi occidentali. Per di più i cinesi ricordano ancora chiaramente i recenti sforzi per separare il Tibet dalla Cina negli anni Quaranta e Cinquanta, quando gli agenti britannici e della Cia incoraggiavano gli indipendentisti tibetani in un momento di grave debolezza del governo centrale. I cinesi ricordano perfettamente la perfidia britannica, quando furono costretti ad accettare oppio in pagamento per il tè. La Guerra dell’ oppio, che portò all’ invasione di Hong Kong da parte della Gran Bretagna, è ormai un ricordo sbiadito se non addirittura dimenticato nella mente degli occidentali. Questo capitolo umiliante della storia della Cina resta invece una ferita ancora aperta nella psiche cinese. E oggi che l’ Occidente si agita nuovamente per staccare un pezzo di territorio cinese dalla madre patria, è come rigirare il coltello nella piaga. Nessun cinese è davvero convinto che i governi occidentali si sentono in dovere morale di accorrere in aiuto dei tibetani. Per i cinesi, si tratta piuttosto dell’ ultimo tentativo per smembrare e indebolire la Cina. C’ è da chiedersi se il cinismo cinese sugli attivisti occidentali dei diritti umani sia giustificato o meno. Per capire meglio, guardiamo alla storia recente attraverso gli occhi della Cina. L’ Occidente, sotto la guida di Nixon e Kissinger, dapprima si lasciò infatuare dalla Cina quando il Paese si stava appena riprendendo dal terremoto della Rivoluzione culturale, uno dei capitoli più dolorosi nelle violazioni dei diritti umani della recente storia cinese. A quei tempi, di diritti umani si parlava appena in Occidente. Per contrasto, negli anni Novanta, non appena i cinesi hanno cominciato a godere di un livello di vita superiore a quanto non avessero conosciuto da molti secoli, ecco che l’ Occidente ha preso di mira le infrazioni cinesi nel campo dei diritti umani. Sono pertanto gli interessi occidentali, e non la situazione dei diritti umani, a dettare la politica dell’ Occidente nei confronti della Cina. Ma non è questo l’ unico motivo del cinismo cinese. I cinesi sanno perfettamente che cosa succede quando i leader europei visitano Pechino: è una gara a chi venderà più prodotti europei alla Cina. Poi, casualmente, sussurrano che dovranno parlare di diritti umani, perché al ritorno in patria sono obbligati a riferire di aver sollevato questi argomenti. I leader cinesi hanno ricevuto un messaggio chiaro: si tratta di un rito occidentale, non è il caso di fare troppa attenzione. E difatti i paladini dei diritti umani nelle capitali europee, una volta sbarcati a Pechino, si comportano da barboncini addomesticati. Vista la situazione, non sorprende che i leader cinesi nutrano scarso rispetto per i politici europei, quando sbandierano i diritti umani davanti alle loro platee. La tragedia è che le vere vittime delle prese di posizione europee saranno i tibetani. Finora, benché il governo cinese in Tibet si sia rivelato assai imperfetto, i leader cinesi si sono sforzati di garantire l’ autonomia della regione. Anzi, in teoria non esiste nessun disaccordo fondamentale tra la posizione del Dalai Lama e il governo cinese. Il Dalai Lama invoca l’ autonomia, non l’ indipendenza. Il governo cinese crede anch’ esso nell’ autonomia. La sua politica ufficiale sul Tibet afferma specificatamente che «l’ esercizio dell’ autonomia regionale etnica nelle aree dove le comunità etniche vivono in strutture compatte è fondamentale per risolvere tutte le problematiche». Poiché esiste un approccio comune, l’ Occidente dovrebbe sforzarsi di ridurre, anziché allargare, le distanze tra il Dalai Lama e il governo cinese. Solo una diplomazia informata e discreta saprà raggiungere questo scopo. Grandi gesti dimostrativi da parte dei leader occidentali contro la Cina non faranno altro che scatenare i peggiori sentimenti nazionalistici dei cinesi. E se questo accadrà, i tibetani saranno i primi a subirne le conseguenze. In fin dei conti si ritroveranno con minore, e non maggiore, autonomia all’ interno di una Cina nervosa e risentita. È questo il prezzo che i tibetani rischiano di pagare per le reazioni dei politici europei.

Global Viewpoint distribuito da Tms Traduzione di Rita Baldassarre