E ora? Mi aggiro in uno scenario che non mi piace: la fastidiosa sbornia dei vincitori; le grottesche giustificazioni dei perdenti; il silenzio imbarazzato di chi pronosticava tutt’altro esito; e, personalmente, tento di elaborare il lutto, essendo tra coloro che votavano sapendo di essere comunque sconfitti, al di là dei risultati specifici ottenuti dalle liste su cui avessero tracciato il loro segno. Sconfitto, in quanto nessuno dei contendenti esprimeva il mio pensiero, e soprattutto, anche chi sentivo più vicino, aveva scelto procedure e metodi all’insegna di una “vecchia politica” (non trasparente, non democratica, verticistica, e comunque battuta nelle urne) nella costruzione del progetto e nella definizione delle liste. E poiché non faccio il politico, di professione, bensì lo studioso, invece di imprecare, o gioire, o giustificare, provo a ragionare, sulle cause di quella che è comunque una sconfitta forse epocale della sinistra, o almeno di quello che finora abbiamo chiamato “sinistra”. E l’esito della mia riflessione è per me devastante. Mi sento solo, come non mai. Eppure le possibilità di vedere una luce esistono, almeno sul piano della mera logica. Con uno sforzo non indifferente, cerco di fare luce in questa nebbiosa situazione postelettorale. Chiedo aiuto al “Segretario fiorentino”, il grande Niccolò, ricordando che Il Principe – il capolavoro della teoria politica di tutti i tempi – fu da lui scritto esattamente mezzo millennio fa, sulla base dell’esperienza politica diretta, e sulla base della conoscenza della storia: le due fonti del pensiero di Machiavelli: un ausilio indispensabile ancora per riflettere sull’universo politico. E mi perdoni Marx, per il vezzo delle undici tesi.
Prima tesi. Non si sconfigge l’avversario diretto ignorandolo, o usando contro di lui il fioretto.
La campagna elettorale di Bersani, di Vendola, di Ingroia è stata minimalista, sia nelle forme, sia nel contenuto. Tutti e tre, e i loro alleati, sono caduti nell’errore di ostentare un atteggiamento di sicurezza sui risultati, ritenendo non solo fuori gioco Berlusconi, ma non attaccandolo neppure con energia. La campagna “bene educata” l’aveva già condotta Veltroni nella precedente tornata elettorale con i risultati disastrosi che conosciamo. Non si vince facendo le allusioni, le battutine, e nutrendo di metafore il proprio discorso. Ti devi presentare come avversario, non come socio e neppure come condomino. Specie in una contesa in cui l’avversario ti attacca in modo violento. Anzi, in una campagna elettorale l’avversario diventa nemico: e i nemici bisogna “spegnerli”, insegna Machiavelli. La rivoluzione non è un pranzo di gala (Mao), ma non lo è neppure una elezione in un momento drammatico come il presente della storia d’Italia. Ingroia, addirittura, ha commesso il solito errore (un errore storico della sinistra in Italia) di attaccare più spesso e con maggior foga sia i suoi possibili alleati (ossia coloro che poi a giorni alterni invitava all’alleanza), che il nemico n. 1, ossia Berlusconi. Bersani, ha posto sullo stesso piano il PDL e M5S. E ora, nelle lungaggini del trattativismo post-voto sembra essere ancora oscillante, tra i due poli.
In ogni caso è mancata a tutti i candidati del Centrosinistra l’aggressività necessaria, tanto più in una situazione catastrofica come la presente. Nessuno di loro ha saputo essere “lione”; ma, ahinoi, neppure “golpe”: né energia, né astuzia. Quello invece che hanno mostrato Berlusconi e Grillo (Monti era dal canto suo piuttosto patetico, e il Vaticano, massoneria e Confindustria non gli sono bastati a farlo decollare). Leggi tutto “Undici tesi sul risultato elettorale”