La visita del neo ambasciatore statunitense in Italia da inopportuna si è trasformata in farsa offensiva. Apprendiamo che il tema al centro dell’incontro, durato circa 30 minuti, è stato il ruolo dei turisti e degli operatori statunitensi circa lo sviluppo turistico del porto di Livorno. Non un accenno di disappunto da parte del Sindaco di Livorno per il trasloco dell’ambasciata americana in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme, non una parola soprattutto sugli imminenti lavori di potenziamento di Camp Darby, dove l’ambasciatore Eisenberg si è recato poco dopo. L’incontro è stata la riprova della totale sudditanza ai diktat americani su questioni che riguardano direttamente il nostro territorio. Ancora più grave è il fatto che il sindaco non abbia colto l’occasione per prestare la propria voce istituzionale alle proteste e preoccupazioni dei cittadini e delle cittadine livornesi. Non è possibile trincerarsi dietro il dito delle competenze comunali. La visita di Eisenberg è stata inopportuna ed il comportamento di Nogarin offensivo della dignità della città di Livorno.
Francesco Renda
Segretario Federazione livornese Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea
Un peschereccio livornese, un comandante che fa “lavorare” un ragazzo africano… Sembrerebbe una ottima notizia in questi ultimi tempi, ma il “bravo” comandante, alla vista della guardia costiera livornese, spinge il cittadino senegalese in mare nonostante le urla del ragazzo che non sa nuotare. Un lucido esempio di come si interpreta l’uso della manodopera africana (in questo caso) da parte di individui senza scrupoli che “pensano” gli immigrati come persone da sfruttare, da usare e poi… gettare in mare. Quanti ce ne saranno che ancora non sono stati individuati e puniti, quanti immigrati ancora dovranno subire aberranti violenze – anche perché c’è una legge, la Bossi Fini, che impedisce loro di avere un permesso di soggiorno regolare, quanti ancora saranno rinchiusi in centri di non-accoglienza. Il Partito della Rifondazione Comunista di Livorno denuncia questo orribile fatto, le condizioni di sfruttamento a cui molti cittadini immigrati sono sottoposti, auspicando che il comandante sia punito e che il sistema di protezione e di inclusione dei richiedenti asilo diventi, finalmente, un esempio di convivenza e di rispetto civile e umano come dichiara la nostra Costituzione e come un paese rispettoso dei diritti umani dovrebbe applicare.
MARIELLA VALENTI – Responsabile Immigrazione Federazione Livornese Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea
Il dibattito sul potenziamento di Camp Darby si è concentrato, fino ad oggi, su due principali ordini di considerazioni. Il primo relativo al pericolo connesso al trasporto ed allo stoccaggio di armi, il secondo connesso al danno ambientale conseguente la realizzazione delle nuove infrastrutture, per le quali si è stato appena aggiudicato il bando. Come giustamente veniva ricordato da Fabrizio Coticchia sulle colonne de “Il Tirreno”, è fondamentale prendere in analisi l’aspetto strategico, e di conseguenza la ragione politica, dietro questa operazione; anche se facendo ciò si può arrivare a posizioni anche lontane da quelle espresse nella sua intervista. Il principale ambito di relazioni da tener presente è sicuramente quello della NATO, di cui l’Italia è membro fondatore (e non per suo merito, tra l’altro). Per prima cosa, la NATO rappresenta in realtà solo la struttura militare integrata di quello che viene chiamato “Patto Atlantico” che è sostanzialmente un accordo politico di mutua difesa e una dichiarazione d’intenti e comune volontà. Tanto che la Francia gollista, pur non denunciando mai il trattato, sottrasse ad esempio le proprie forze armate dalla struttura militare integrata dell’Alleanza fin dall’inizio della V Repubblica. Questa distinzione è importante perché consente di affrontare la questione senza dover ricorrere a pretestuosità ideologiche o di antiamericanismo preconcetto. Indubbiamente, finché è esistito nella percezione dell’Europa Occidentale il timore di aggressione da parte del Patto di Varsavia. questo faceva sì che gli interessi nazionali dei singoli membri coincidessero, in tutto o in parte, con quelli degli Stati Uniti, nella misura in cui gli americani avevano interesse ad un’Europa non comunista. Come è possibile dimostrare questa aderenza d’interessi? Senza dover analizzare una ad una le dottrine d’impiego della forza che si sono susseguite a partire dall’inizio degli anni ’50, il meccanismo d’ingaggio delle forze NATO non è sostanzialmente mutato nel corso dei decenni della guerra fredda. Questo meccanismo consisteva in una massiccia concentrazione di truppe a difesa della cortina di ferro, e nell’ombrello nucleare americano. Affinché la garanzia di quest’ultimo fosse percepita come reale dagli alleati, diverse decine di migliaia di soldati americani stazionavano nei paesi membri, più come ostaggi che come reali difensori in caso di invasione. L’Europa Occidentale non poteva infatti garantire la profondità strategica sulla quale l’Unione Sovietica poteva fare affidamento, di conseguenza l’unica assicurazione contro un intervento con armi convenzionali del Patto di Varsavia era rappresentata dall’impiego dell’arsenale nucleare americano, da qui la necessità brutale di averne il certo impiego con morti americani sul terreno in caso di conflitto. Gli stessi modelli di difesa dei paesi alleati rispondevano a questo tipo di minaccia. Nel caso italiano, più di 1/3 dell’esercito era schierato a nord est e organizzato in divisioni e brigate corazzate, mentre aeronautica e marina erano considerate relativamente marginali in quel contesto – nonostante l’estensione latitudinale del nostro paese e la sua centralità nel Mediterraneo. Era stata infatti la Francia a volere fortemente l’Italia nell’Alleanza Atlantica. La Francia, avendo una sponda mediterranea e cercando un contrappeso politico, si fece il nostro miglior sponsor, non facendo mutare per questo lo scacchiere principale di confronto. Questi elementi fanno subito emergere come solo una parte dell’interesse nazionale italiano fosse in prima battuta corrispondente a quello americano o della NATO. Certamente, il contesto bipolare della seconda metà del XX secolo aveva modificato molti fattori nella stessa definizione politica di interesse nazionale, almeno nel nostro paese.
Le cose sono radicalmente mutate con la fine della guerra fredda e l’implosione dell’Unione Sovietica. Mentre il Patto di Varsavia si è sciolto, la NATO non ha fatto altrettanto. Qual è allora la convergenza di interessi nazionali che accomuna i membri dell’Alleanza? Sostanzialmente si tratta di un singolo interesse, che non ha fatto altro che riproporsi, ossia quello della Germania. Se l’Unione Europea era agli occhi di americani ed inglesi il contenitore della potenza economica tedesca (o il contesto della propria velleità egemonica continentale, per quanto riguarda i francesi), la NATO doveva esserne la garanzia militare. Così come la Germania, nuovamente unita, ha portato al trattato di Maastricht del 1992, così ha determinato la persistenza dell’Alleanza Atlantica. Ricordate la battuta di Andreotti? “L’Italia vuole così bene alla Germania da volerne due”; nel suo stile, aveva centrato il segno. Se dal punto di vista economico l’Euro non è riuscito a neutralizzare l’egemonia tedesca, tanto da esserne divenuto lo specchio della politica monetaria, la NATO si è trasformata nel mero strumento di proiezione della potenza americana. Il numero di conferenze internazionali nei quali veniva discussa la nuova dottrina dell’Alleanza si perde, semplicemente perché una nuova dottrina non poteva essere adottata, a meno di non voler giustificare la realtà con una foglia di fico. Le prime a reagire al nuovo contesto internazionale sono state naturalmente le intelligenze strategiche dello stato maggiore. Da una forza che riuscisse ad attutire il colpo di un’invasione, almeno il tempo necessario a far scattare l’ombrello atomico, si è passati ad un modello di difesa di proiezione. Per l’Italia questo ha significato in soldoni la fine della leva obbligatoria, lo smantellamento di intere divisioni corazzate ed una rinnovata centralità di aeronautica e marina. La stessa cosa hanno fatto gli altri membri dell’Alleanza, americani compresi, che avevano però ben capito come le proprie forze in Europa, non più ostaggi a garanzia del pericolo sovietico, potessero essere utilizzate come punti avanzati e di proiezione della propria potenza. Sebbene infatti gli accordi bilaterali di stanziamento delle forze alleate siano adottati in ambito NATO, di accordi bilaterali comunque si tratta, non costituendone alcun impedimento all’impiego da parte del Pentagono. Dall’Italia, e senza alcuna necessità di autorizzazione “politica” e quindi democratica, transitano ed hanno transitato i più svariati mezzi per operazioni di guerra americane che nella hanno a che vedere con la dottrina NATO o con il coinvolgimento di qualsivoglia organismo dell’Alleanza, salvo poi coinvolgerla quando le cose si fanno difficili, come in Afghanistan, grazie a dottrine ad hoc fatte uscire fuori dal cilindro al primo vertice utile. Naturalmente, siccome la si fa ma non la si dice, anche l’incessante retorica americana sulla necessità che gli europei, Italia inclusa, aumentino almeno al 2% del PIL le proprie spese militari, risponde a questa logica. Gli europei devono investire di più per garantire la propria sicurezza, dicono, perché loro non lo possono più fare. Peccato che non lo stiano già facendo, e che tutto questo serva solo a mascherare agli occhi dell’opinione pubblica le reali motivazioni dietro la loro permanenza. Nessuno, meno che mai in politica internazionale, fa niente per niente, ma a volte sembra che ce ne dimentichiamo.
Per un’economia di grandi dimensioni ed in contesto globale, quale quella italia, la definizione di interesse nazionale possa spaziare ovunque nel mondo, ma questo è fuorviante. L’interesse nazionale italiano è saldamente ancorato al Mediterraneo e non passa per il Mar Baltico o le montagne dell’Hindukush; occorre però una seria riflessione nazionale su quali siano i mezzi adatti allo scopo e perseguirli, non certo essere corresponsabili dei massacri altrui consentendo il potenziamento di un’infrastruttura di morte su comando altrui come Camp Darby.
Francesco Renda
Segretario Federazione Livornese Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea
A noi non interessa il balletto delle responsabilità politiche come si sta presentando in città: cioè un uso strumentale della catastrofe volto solo a mettere in difficoltà l’amministrazione attuale o quella precedente per ricavarne un vantaggio politico.
Da tempo diamo un giudizio molto severo dell’operato complessivo dell’Amministrazione Nogarin, così come lo abbiamo a suo tempo rispetto a quella del PD. Pur avendo duramente osteggiato l’amministrazione precedente, al ballottaggio non demmo indicazione di voto né per il PD né per Nogarin, dicendo che “non riusciamo ad intravedere nel Movimento 5 Stelle la soluzione ai gravi problemi della città”. Il tempo ci ha dato ragione.
Ma in questo momento la cittadinanza non ha bisogno che la situazione venga usata strumentalmente, avvitando il dibattito politico in sterili polemiche. Chi è stato colpito ha bisogno di risposte per rimettersi in piedi, e tutti abbiamo bisogno di risposte per evitare nuove catastrofi. Certo, chi ha sbagliato deve pagare: le indagini delle autorità competenti faranno il loro corso, la costituenda commissione di inchiesta idem, ma le risposte di cui abbiamo bisogno subito, come cittadini, non si possono legare ai tempi lunghi della ricerca dei colpevoli. Individuare cosa non ha funzionato prima, durante e dopo l’alluvione certo permette di orientare meglio la ricerca delle responsabilità, ma è indispensabile che serva a produrre delle azioni rapide e precise. Per questo abbiamo deciso di dare natura di schema a questa nostra prima analisi, affiancando al “Cosa è successo” il “Cosa bisogna fare”. Si tratta solo di un primo elenco di punti che porteremo in discussione collettiva dentro e fuori il nostro partito, raccogliendo altri elementi – in primis sul tema della cementificazione e come opporvisi con efficacia – e impegnandoci in azioni concrete per ottenere gli obiettivi che abbiamo individuato.
Riorganizzazione della protezione Civile: Ai primi di agosto l’Amministrazione ha ridisegnato il funzionamento della Protezione Civile, cambiandone vertici ed organizzazione. CHE FARE: L’Amministrazione ripristini un modello organizzativo e una direzione della Protezione Civile che garantisca efficacia nell’informazione, prevenzione ed intervento
Piano di Protezione Civile: L’attuale Piano di Protezione Civile è quello approvato nel 2011. Una revisione è pronta ma non ancora discussa e approvata. CHE FARE: Il Consiglio Comunale calendarizzi e discuta quanto prima il nuovo Piano di Protezione Civile
Allagamento ENI e sversamento nei rii fino a Darsena Toscana:Le prime notizie ufficiali di ARPAT sull’allagamento di ENI, lo sversamento di idrocarburi e la natura del cattivo odore percepito in tutta la città fin da doenica 10 sono del 12 settembre. L’assenza di informazioni ufficiali è già grave perché permette il proliferare incontrollato di ipotesi allarmistiche; ancora più grave se questa è dipesa da un ritardo nell’acquisizione di informazioni utili alla tutela della salute dei cittadini. CHE FARE: ARPAT deve dimostrare di essere in grado di intervenire tempestivamente in caso di eventi con impatto sulle attività produttive con potenziali danni alla salute pubblica, e comunicare tempestivamente alla cittadinanza le risultanze.
Casse di espansione: Sono state rilevate molte criticità sull’adeguatezza delle attuali casse di espansione dei rii e sul loro efficace funzionamento nel momento dell’alluvione. CHE FARE: gli enti preposti devono garantire che le casse di espansione siano in numero e dimensione sufficiente per l’assorbimento di fenomeni eccezionali e potenzialmente catastrofici.
Cari compagni e care compagne,
quest’anno siamo stati impegnati per ben 11 giorni nella gestione delle feste. Un periodo estremamente lungo, come non se ne vedevano da tempo, e che marca indubbiamente la nostra vitalità e la nostra voglia di essere protagonisti del dibattito politico cittadino. E’ stata l’occasione per ribadire, ancora una volta, che un altro modo di vedere il mondo esiste e resiste, e che la barbarie capitalista non rappresenta il destino ineludibile dei nostri rapporti economici e sociali.
Questo sforzo enorme per il corpo del Partito si è andato ad aggiungere a quello congressuale della scorsa primavera e ne ha rappresentato un primo punto concreto di attuazione. L’evento “Ripigliamoci” è stato la prima esperienza di festa unitaria che si ricordi, un risultato enorme, che non era assolutamente scontato riuscire a portare a termine. La segreteria si era particolarmente spesa per la sua buona riuscita ed i risultati in termini di progettualità e partecipazione sono stati molto soddisfacenti, non solo per la qualità dei dibattiti che sono susseguiti, ma per la fusione “a caldo” che i militanti di tante forze e soggetti politici hanno sperimentato lavorando fianco a fianco e sudando insieme. L’unità della sinistra non si deve percorrere solo con accordi di segreteria ma anche e soprattutto con la partecipazione attiva di tutti gli iscritti, dal basso e per il popolo.
Purtroppo i tragici eventi del 10 settembre hanno portato ad un giorno di sospensione ed alla prematura conclusione di “Ripigliamoci”. Nonostante questo, fin da lunedi, abbiamo deciso di ripartire. Eravamo consapevoli che la programmata festa regionale si sarebbe trasformata in una “non festa”, ma lo eravamo altrettanto del fatto che il nostro presidio avrebbe potuto contribuire concretamente alla ripresa di Livorno. Rispettosamente, annullando il programma degli spettacoli, abbiamo osservato il lutto cittadino e listato a lutto le nostre bandiere, nonché preso immediatamente contatto con i compagni e le compagne delle BSA, per allestire un centro distaccato che potesse essergli d’aiuto nel reperimento di fondi e materiali per le squadre attive nei luoghi d’emergenza. Sono molto orgoglioso del piccolo contributo, monetario e materiale, che siamo riusciti a donare presso la base dell’ex caserma occupata.
La nostra “non festa” è stata comunque bella anche per un altro motivo. Livorno era avvolta in un manto di silenzio e tristezza che non le apparteneva, il durissimo colpo subito ci aveva scavato dentro, nel profondo, togliendoci tutto. Il nostro presidio si trasformava ogni sera in un luogo di condivisione collettiva del dolore, ma soprattutto dell’impegno dei tanti volontari e “bimbi motosi” occupati durante la giornata nel ristabilire una parvenza di normalità in chi aveva perso tutto, amici, parenti, case, o altri beni materiali. Ogni sera, entrando, condividevamo le nostre emozioni profonde con gli amici che rientravano in un momento di meravigliosa umanità, trasformando la nostra presenza in momento catartico del quale molti sentivano il bisogno.
Non so quanti altri sarebbero riusciti a tenere botta in un momento come quello, ma noi ce l’abbiamo fatta. Nonostante il maltempo che continuava a martellare, ce l’abbiamo fatta! Tutto questo non sarebbe stato possibile senza l’impegno quotidiano di tutti e tutte voi. Siamo dei pazzi, ma siamo anche un po’ eroi! Voglio ringraziare pubblicamente tutti e tutte voi per la dedizione che continuate ad avere nel nostro progetto di un mondo di liberi ed eguali. Ringrazio anche le associazioni che con la loro presenza hanno arricchito le feste: Agedo, le associazioni di amicizia Italia-Cuba e italo-palestinese, l’associazione comunisti in erba, DieciDicembre Arciragazzi Livorno, e il movimento consumatori.
Non esistono parole per descrivere la tempra di un militante di Rifondazione, la tempra che anima gli uomini e le donne che sanno di lottare per una causa giusta e che, nonostante le sconfitte, non si abbattono perché convinti della bontà delle proprie idee. Sono orgoglioso di essere il vostro segretario e debitore della vostra fiducia. Viva Rifondazione Comunista e forza Livorno!
Francesco Renda
Segretario Federazione Livornese Partito della Rifondazione Comunista
Come già noto dalla cronaca locale, lo scorso 29 agosto, in seguito ad un blackout provocato da un corto circuito ad un sistema di controllo della sodiera Solvay sono state sversate ingenti quantità di ammoniaca.
Ancora oggi, ufficialmente, non sono state comprese le cause della morìa di pesci avvenuta in contemporanea allo sversamento. Da una parte Arpat, l’organo preposto ai controlli ambientali, non è stata in grado di provare la presenza di ammoniaca nei pesci raccolti come campione d’indagine, che sono stati considerati in stato di decomposizione troppo avanzato. D’altra parte, Solvay ritiene che le concentrazioni di ammoniaca ritrovate in mare siano tutte al di sotto dei valori di legge e quindi confermano che la moria di pesci non è strettamente collegabile al loro sversamento. Il nostro Circolo ritiene che se non è possibile stabilire scientificamente un nesso, politicamente dobbiamo far notare che Solvay dovrebbe volgere l’attenzione al miglioramento dei propri processi produttivi. Non è la prima volta che ciò accade. Abbiamo assistito a sversamenti di ammoniaca importanti già nel 2011 e nel 2007, tutti con le stesse conseguenze. Sappiamo che in caso di emergenza o di blocco del processo di produzione della soda l’impianto va in sicurezza bloccando le reazioni chimiche attraverso il rilascio di ammoniaca. Questa viene dirottata in vasche di contenimento, le quali evidentemente non sono in grado di contenere l’ingente quantità di ammoniaca. Noi siamo contrari all’attribuzione di soldi pubblici a impresa privata, laddove questo accade si deve prendere l’impegno che la spesa non debba essere legata al profitto della multinazionale ma deve essere rivolta al miglioramento del processo produttivo in senso scientifico e ambientale. Con questo affermiamo che se sussiste la necessità di aumentare la capienza dei bacini di contenimento per evitare ulteriori danni ambientali, Solvay deve impegnarsi a spendere i soldi di tutti noi in questo senso. Inoltre, se Solvay si sente esonerata da ogni responsabilità dell’accaduto, deve diventare capofila nel cercare le responsabilità e i responsabili in piena trasparenza e collaborazione con Arpat, amministrazione comunale e cittadinanza. Il Circolo auspica una definitiva soluzione a questo problema attraverso il rispetto delle regole in senso ambientale, nel rispetto del territorio e della cittadinanza e nei confronti delle istituzioni in quanto sappiamo come l’industria abbia accresciuto il benessere del paese. Ad oggi non siamo più in grado di sopportare un modello industriale legato al passato, ma chiediamo una svolta verso il miglioramento dei processi produttivi in senso tecnologico- ambientale.
Circolo di Rosignano Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea