Grecia, il Pasok tiene e i comunisti volano alto
di Victor Castaldi
su Liberazione del 09/11/2010
Nonostante un crisi economica brutale e delle soluzioni per venirne fuori ancor più devastanti del male, il premier Papandreou ha vinto la sua scommessa, passando indenne le forche caudine delle temutissime elezioni regionali. Il suo partito socialista ha infatti tenuto botta, arrivando al primo posto in sette delle 13 megaregioni in cui è suddivisa la mappa amministrativa della Grecia e che sostituiscono per la prima volta le precedenti 57 province. Papandreou si libera così dello spettro di elezioni politiche anticipate che aveva evocato alla vigilia in caso di una netta sconfitta. «Il popolo che ci portò al potere un anno fa ha confermato che vuole il cambiamento, e quindi proseguiremo per la nostra strada con i nostri obiettivi», ha detto a caldo il premier. Un discorso che è piaciuto molto ai mercati, tanto che la Borsa di Atene ha aperto in netto rialzo. Certo, il Pasok ha vinto ma non ha convinto. Se un anno e mezzo fa i distaccava l’opposizione di centrodestra di oltre dieci punti, oggi la distanza tra i socialisti e Nuova Democrazia si è ridotta al 2,5%. I conservatori riescono infatti ad imporsi nel grande collegio della Macedonia centrale e nelle due principali aree metropolitane del paese, Atene e Salonicco dove si andrà comunque al ballottaggio. Un discreto risultato anche se la tanto evocata rimonta non c’è stata. anche perché i greci ricordano le responsabilità dell’ex premier Karamanlis nella crisi. Alla fine l’unico vincitore della contesa è il Partito comunista (Kke), che sfiora il 12% dei consensi, oltre quattro punti in più rispetto alle legislative del 2009, con un picco del 15% proprio nella regione di Atene, dove sarà più che decisivo per gli esiti del secondo turno. Un’affermazione, quella del Kke che da una parte inceppa il meccanismo bipolarista che caratterizza da decenni la scena politica ellenica. E che dall’altra raccoglie la rabbia di coloro che più di tutti hanno pagato il prezzo della crisi economica, impiegati pubblici, lavoratori dell’industria, giovani disoccupati; un elettorato che, dopo il piano lacrime e sangue varato dal governo per fronteggiare la recessione, ha voltato le spalle al Pasok e che ora si rivolge altrove. In mezzo a questi dati, spicca un’astensione altissima, superiore al 40%, anch’essa figlia della crisi economica e della frustrazione di un paese che dal punto di vista sociale sembra costantemente borderline. Se il premier può tirare un sospiro di sollievo per aver evitato una disfatta elettorale, farebbe comunque bene a riflettere sul sgnificato politico del voto di domenica e sul giudizio che i greci hanno delle ricette economiche ddell’esecutivo.«Papandreou canta vittoria, ma non ha affatto compreso il messaggio degli elettori i quali hanno respinto la politica di asuterità e tagli sociali concertata dal governo con l’Unione europea e il Fondo monetario», ha commentato la segretaria del Kke Aleka Papariga, lasciando intendere che il suo partito non farà sconti ai socialisti. A cominciare dai ballottaggi.
I dieci giorni che sconvolsero il mondo: 93° anniversario della rivoluzione d’ottobre
Riportiamo qui un articolo di Alexander Hobel, scritto in occasione del 92° anniversario della rivoluzione e pubblicato lo scorso anno su www.lernesto.it ma ancora oggi, ad un anno di distanza molto attuale, così come rimangono attuali ed eterne le idee e le convinzioni che spinsero uomini e donne a compiere la più importante rivoluzione della storia contemporanea: la Rivoluzione d’ottobre.
Perché ricordiamo la Rivoluzione d’Ottobre
di Alexander Höbel
A 92 anni dalla Rivoluzione d’Ottobre, qualcuno potrebbe chiedersi (e chiederci) perché celebriamo ancora quell’evento. A parte il fatto che anche date come il 14 luglio 1789 continuano a essere giustamente ricordate e celebrate, il punto centrale è un altro; e cioè che continuiamo a pensare che quell’evento abbia cambiato la storia del mondo, e che i suoi insegnamenti – e in generale la lezione del leninismo – siano tuttora fondamentali.
Tanto per cominciare, non si ricorderà mai abbastanza il fatto che quella Rivoluzione nacque in opposizione al massacro della guerra imperialista – la I Guerra mondiale – che stava devastando il mondo, trasformò l’ennesimo macello prodotto dalle logiche del capitale in un’occasione di trasformazione sociale, e costituì la leva essenziale della dissociazione della Russia – ormai Russia dei soviet – da quella “inutile strage”, giungendo a una pace giusta e senza annessioni (anzi, con la perdita di rilevanti pezzi di territorio), con un gesto che valeva molto di più delle vuote invocazioni pacifiste di tante forze democratiche e socialiste, cui poi non corrispondevano scelte conseguenti. Gli altri decreti varati all’indomani della Rivoluzione – quelli sulla terra ai contadini, la nazionalizzazione dei grandi impianti, il potere dei soviet, il rispetto delle nazionalità e il criterio della libera adesione al nuovo Stato – costituirono le prime realizzazioni di quegli obiettivi che i bolscevichi avevano proclamato prima della presa del potere: anche in questo caso,
una coerenza tra il dire e il fare, che accrebbe grandemente il consenso popolare.
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Delusi dalle giunte
L’esigenza sociale e storica del partito comunista e la lotta dei comunisti per costruirlo
Intervista a Oliviero Diliberto a cura di Francesco Maringiò
Costretto ad un lungo periodo di riposo, a causa di un serio incidente al ginocchio, il compagno Oliviero Diliberto, segretario nazionale del PdCI, non sembra affatto sotto tono, quando ci accoglie nella sua casa. E lì, circondato dai suoi tanti e amati libri ed una graziosa gattina che ci gira attorno, inizia a parlare. Ed è un fiume in piena. «Accordo di governo, dopo le prossime elezioni nazionali? Sarebbe un errore, un guaio sia per noi che per il Pd, mentre ciascuno dovrà fare la sua, differente, parte. Questa è una crisi di sistema e per uscirne bisogna cambiare il sistema. Del resto i temi posti dai comunisti sono oggi, rispetto alla crisi strutturale del capitale e alle accelerazioni iperliberiste dell’Unione europea, più attuali che mai. Il punto è che occorrerebbe un partito comunista forte, radicato, di lotta e questo partito non c’è. Occorre risolvere il problema, contribuire alla costruzione di un partito comunista di questo tipo. E’ per questo che abbiamo lanciato, ormai da tempo (e solo parzialmente ascoltati) il progetto dell’unità dei comunisti. I comunisti e le comuniste bisogna unirli e unirle. Noi continueremo a lavorare per questo obiettivo e porteremo avanti questo progetto con tutti coloro che saranno disponibili ».